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 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

«RIFORME CORAGGIOSE PER REINSEDIARE IL “NOI”»

Quando prende la parola un’autorità morale, come quella rappresentata dalla Conferenza dei vescovi ita­liani, è bene che la politica ascolti. In una società aperta, nessuno dispo­ne dell’ultima parola: tutte le voci, anche quelle che giungono dalle tri­bune più alte, sanno di doversi sot­tomettere alla critica del discorso pubblico. Ma ognuna di esse va ri­spettata per la originaria peculiarità della funzione che esercita. In par­ticolare, bisogna guardarsi dalla ten­tazione di ricondurre ogni dimen­sione della convivenza associata a quella della politica, che è solo una di esse, per quanto rilevante. Sta qui il fondamento più solido e profon­do della laicità: che da tempo non può più essere ridotta ad una con­tesa territoriale tra la sfera dello Sta­to e quella della Chiesa, ma piutto­sto deve essere intesa come presa d’atto e valorizzazione del carattere poliarchico, plurale, complesso, del­le società moderne, che vivono in e

di molte dimensioni, che certo inte­ragiscono tra loro, ma «ciascuna nel proprio ordine», come detta l’arti­colo 7 della Costituzione.

Bene ha fatto quindi il presidente della Cei a pronunciare parole chia­re, nel descrivere una collettività na­zionale che «guarda sgomenta gli at­tori della scena pubblica e respira un evidente disagio morale». E per a­ver voluto ricondurre questa de­nuncia non sul terreno della lotta politica, quasi la Chiesa dovesse prendere parte, fi­no a farsi essa stes­sa parte, nel con­fronto politico, privando così la società italiana dell’apporto di u­na preziosa ’ter­zietà’, ma piutto­sto su quello della riflessione e della proposta culturale e morale e, in de­finitiva, educativa. «Se si ingannano i giovani – ha detto il cardinale Ba­gnasco – se si trasmettono ideali ba­cati cioè guasti dal di dentro, se li si induce a rincorrere miraggi scintil­lanti quanto illusori, si finisce per trasmettere un senso distorcente della realtà, si oscura la dignità del­le persone, si manipolano le menta­­lità, si depotenziano le energie del rinnovamento generazionale’.

Questo è il nocciolo della questio­ne, che è una questione di ’senso’: quale senso della vita, personale e comunitaria, quale gerarchia di va­lori le generazioni adulte, attraver­so la politica, ma ancora di più at­traverso l’intreccio, spesso perver­so, tra la politica, il mercato e i mass-media, propongono alle gio­vani generazioni. È forse la più ra­dicale delle domande, ma proprio per questo è una domanda inelu­dibile, dinanzi alla quale nessuno dovrebbe sottrarsi.

A partire da questo allarme sulla e­mergenza educativa, il cardinale Ba­gnasco ha proposto due riflessioni che la politica, io penso, dovrebbe raccogliere e trasformare in decisio­ni concrete. La prima ha a che fare con la famiglia, «quale base per ri­lanciare il Paese». Condivido le sue parole, che individuano lo stesso ter­reno di impegno concreto che ab­biamo proposto sabato scorso al convegno del Lingotto: «L’indivi­duazione del ’fattore famiglia’ come criterio ad oggi più evoluto, in quan­to più equilibrato rispetto ad ipote­si precedenti, suggerisce che l’au­spicata, urgente riforma del fisco di­spone già di un elemento centrale di grande convergenza».

La seconda riguarda il sistema for­mativo e le contestazioni che lo han­no attraversato in occasione della riforma Gelmini. «La prospettiva del ridimensionamento di quello che ai giovani appare come il più consi­stente cespite di spesa che lo Stato stanzia in loro favore, deve essere apparsa incomprensibile», ha detto il presidente della Cei. Un monito dal quale dovremmo trarre l’impe­gno condiviso tra le forze politiche a sottrarre la scuola, l’università, la ricerca dal novero delle spese da ri­dimensionare. «Perché il sistema formativo deve di­ventare il centro della società del futuro», abbiamo detto al Lingotto. «Si deve spendere anche di più, ma si deve spendere meglio. Facendo leva sull’autono­mia, il merito, la ri­gorosa valutazio­ne dei risultati».

E bisogna riuscire a fare tutto questo nel pieno di una crisi che colpisce allo stesso tempo la finanza pubbli­ca e l’economia reale. Ma ogni gior­no di più è chiaro che solo riforme coraggiose e lungimiranti, condotte all’insegna di un nuovo interclassi­smo dinamico, consentiranno all’I­talia di uscire dalla crisi. Con parole per le quali provo una profonda sin­tonia, il presidente dei vescovi ita­liani osserva: «Questo è il punto in cui i problemi dei giovani vengono a coincidere con le questioni di or­dine generale: bisogna infrangere l’involucro individualista e tornare a pensare con la categoria comunita­ria del ’noi’, perché tutto va ricali­brato secondo un diverso soggetto. Anziché una somma di tanti ’io’, si­curamente legittimi e forse un po’ pretenziosi, occorre insediare il plu­rale che abita in ogni famiglia, il plu­rale di cui si compone ogni società». Ricostruire, contro ogni particolari­smo, il senso delle relazioni che le­gano il destino delle persone. Im­maginare un Stato che sappia avere fiducia nella ’comunità’. E pro­muovere lo sviluppo e l’autorganiz­zazione di una società viva e attiva. Sapere che il diritto di un bambino ad andare in un asilo nido o di un anziano a non restare solo viene pri­ma di ogni cosa. E che lo Stato mo­derno deve essere non gestore ma suscitatore. Anche questo è essere ’noi’, insediare il plurale che è sta­to cancellato dal delirio di un egoi­smo sociale che minaccia tutti noi.