Brunella Bolloli, Libero 28/01/2011, 28 gennaio 2011
ORA FA IL DURO. MA LO CHIAMAVANO ER CAGHETTA
Raccontano che alle manifestazioni di piazza Gianfranco Fini andava in giacca e cravatta, sopra l’immancabile trench chiaro, aria seria, sigaretta. Look da poliziotto per evitare le botte, quelle che invece davano e prendevano gli altri camerati.
Alemanno, Buontempo, La Russa, per citare solo i più noti: negli anni Settanta era una rissa al giorno, neri contro rossi in battaglia.
E Fini? Lui no. Non sono agli atti imprese memorabili del presidente della Camera coinvolto in incidenti di piazza, nessun episodio in cui abbia menato le mani, o abbia fatto paura a qualche avversario.
Semmai, dicono, era lui ad avere paura. A Roma lo chiamavano «er caghetta», da quando un giorno lo trovarono rannicchiato nel sottoscala di un palazzo dove si era rifugiato per evitare le bastonate di certi camerati che volevano dargli una lezione perché lo consideravano un bugiardo. Andò a riprenderlo Sergio Mariani, detto Folgorino, primo marito di Daniela Di Sotto, ex moglie di Fini e militante di ferro. Gianfranco era terrorizzato strinse Mariani per le gambe: «Sergio, che colpa ne ho se non ho il vostro coraggio?».
«Caghetta», «Tortellino», «il bolognese».
AClaudio Sabelli Fioretti che lo ha intervistato nel 2006 facendogli notare la pesante accusa di codardia, l’allora ministro degli Esteri rispose secco: «Mi lascia del tutto indifferente.
Ho corso i miei rischi anch’io».
All’inizio Fini non piaceva ai romani del Fronte perché era forestiero, emarginato per via della provenienza emiliana e in tanti diffidavano. Poi c’era la questione dell’azione: quando era il momento di scendere sul campo di guerra, lui non c’era. Semplicemente si defilava. Non amava la pugna. «Ho sempre detto che la violenza era un’autentica idiozia», si giustificò molti anni dopo. Per questo ora sentirlo affermare a muso duro al deputato del PdL, Maurizio Paniz: «Non avevo paura degli scontri a sedici anni, figurarsi se ora mi fate paura voi», fa un po’ sorride - re tanti ex An, che si scontravano davvero.
A destra, in quel tempo, c’erano tre grandi gruppi: Msi-Fronte della Gioventù, Avanguardia nazionale e Ordine Nuovo.
Fondamentalmente anche tra loro si odiavano, ma quando c’era da lottare contro i compagni la rivalità non esisteva più. Si agiva e basta. Contava l’audacia. Chi picchiava più forte. Il resoconto di quegli anni è un bollettino di guerra. Morti e feriti. Segni che non si cancellano. Mariani ha ancora dei carichi pendenti addosso, Alemanno è stato dentro, a Storace hanno bruciato casa, la Di Sotto si è salvata per miracolo, Teodoro Buontempo non mollava mai, Gramazio “il pinguino” colpiva duro. «Fini non è nato coraggioso», dice un ex camerata, «ma non bisogna certo fargliene una colpa. Studiava al Magistero, che allora era un covo di comunisti, mettersi a fare l’eroe circondato dai compagni non era nella sua natura». «Già il fatto che fosse un militante dell’Msi era comunque rischioso», lo giustifica Folgorino, «non si poteva pretendere che fosse anche un attivista convinto come noi». Come dire: gli altri combattenti, Fini intellettuale. Loro il braccio, lui meno. Anche quella volta, il 7 gennaio del ’78, strage di Acca Larentia, che, per caso, fu ferito a un piede da un candelotto rimbalzato. «Poco roba, ma cominciò a zoppicare e si fece portare via a spalle».
E quell’altra volta, quando i rossi assaltarono la sezione Somma campagna, sede provinciale del Fronte. È cominciato l’in - ferno. Tutti fuori a difendere il territorio, con le spranghe o a mani nude. Tutti fuori tranne Fini. «Lui come sempre era dentro con la fidanzata. Dettava al telefono il comunicato stampa».