Letizia Gabaglio, L’Espresso 3/2/2011, 3 febbraio 2011
PROCESSO AL SALE
È onnipresente sulle nostre tavole, bianchissimo (ma anche rosa dell’Himalaya o rosso dalle Hawai), ben nascosto nel cibo, anche nel più salutare, come il salmone o i cornflakes. Eppure è proprio quel bianco e magnifico granello di sale a essere il colpevole dell’aumento della pressione arteriosa, principale fattore di rischio per infarto e ictus. Per l’esattezza, a fare i danni è il sodio contenuto nel sale, che però è di fatto la fonte principale di sodio nella nostra dieta; quindi, meno sale significa anche meno sodio. Dobbiamo bandirlo dalla dieta? Alcuni ci provano, magari puntando, come suggerisce Carlo Cracco nell’intervista di pagina 125, sul sapore delle materie prime che usiamo.
Ma la verità è che, anche volendo, non potremmo eliminarlo dalla nostra alimentazione, se non a costo di stare praticamente digiuni, perché il sale è contenuto in tutti gli alimenti. E questo è un bene perché, di certo, il sale è essenziale per la salute dell’organismo, è vitale per la comunicazione e lo scambio cellulare: per questo servono 3 grammi al giorno.
Ecco, quindi, la soluzione: una giusta dieta, equilibrata, è già di per sé sapida, senza bisogno di altro sale. Quindi meglio non aggiungerlo, o limitarlo. Come dimostra il caso Toscana, dove il tasso di ictus è più basso della media nazionale, e il pane per tradizione è sciapo. Ed è noto che buona parte del sale che ingeriamo proviene proprio da pane e biscotti, generi consumati quotidianamente in grandi quantità. "Un dato che ha convinto il ministero della Salute a riunire intorno a un tavolo i produttori di pane industriali e artigianali per chiedere loro di ridurre il contenuto di sale", spiega Catherine Leclercq, che lavora all’Istituto Nazionale di Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione (Inran): "Alcuni di questi, partendo dalla città di Verona, hanno iniziato a produrre il pane cosiddetto "mezzosale", riducendo del 50 per cento la quantità di sale che utilizzano".
È una strategia vincente per la salute pubblica. Lo dimostra anche uno studio pubblicato lo scorso novembre sulla rivista "Heart" da Linda Cobiac dell’Università del Queensland: secondo la ricercatrice, far abbassare per legge il contenuto di sale negli alimenti è 20 volte più efficace che convincere ogni singolo cittadino della necessità di non aggiungerne troppo alle pietanze che porta in tavola.
Troppo? Quanto è troppo e quanto è accettabile? L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di non superare i 5 grammi al giorno di sale, e ciascuno di noi può farsi un conto usando le tabelle di queste pagine. Ma gli italiani non sembrano affatto prendere sul serio la raccomandazione dell’Oms. Dai dati raccolti dal Programma Minisal-Gircsi, raccolti nel corso del 2009 e 2010 in collaborazione con l’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare dell’Iss in sei regioni (Friuli Venezia Giulia, Molise, Emilia Romagna, Sicilia, Basilicata, Calabria), emerge infatti che il consumo medio di sale in Italia è tuttora di 11 grammi negli uomini e di 8 grammi nelle donne. Uno sproposito, considerando che, come detto, il nostro fabbisogno giornaliero, la quantità cioè di cui l’organismo ha bisogno per funzionare al meglio, è al massimo di 3 grammi.
"Se mettiamo il sale negli alimenti è solo per una questione di gusto, non perché il nostro organismo ne abbia bisogno: un’alimentazione equilibrata assicura già il giusto apporto di sodio", spiega Pietro Migliaccio, presidente della Società italiana di scienza dell’alimentazione: "Ma il gusto si può educare: basta stare a regime di sale contenuto per pochi giorni per non avvertire più l’esigenza di salare molto i piatti. Ci si abitua subito, e quello che all’inizio può sembrare un sacrificio presto diventa una consuetudine".
L’educazione del gusto inizia da piccoli e comincia con l’abolizione del cibo da fast food, che trabocca sale, delle merendine, perché anche se dolci nascondono sodio, e degli snack salati. Perché "se i ragazzi mangiano spesso questi alimenti, si abituano a un tenore alto di sapidità e poi a casa chiederanno di aggiungere sale alle pietanze", aggiunge il nutrizionista.
È bene quindi moderare la quantità di sale nell’alimentazione già dei bambini: i pediatri raccomandano di non aggiungerne almeno fino al primo anno di età. Almeno per due motivi: per permettere ai piccoli di formare il proprio gusto e per prevenire lo sviluppo di ipertensione. "Alcuni studi hanno dimostrato che chi ha mangiato pappe con aggiunta di sale al momento dello svezzamento ha mantenuto dopo anni una pressione arteriosa più elevata rispetto a chi aveva ricevuto una dieta sciapa", spiega Leclercq. Anche per gli anziani è molto importante limitare il sale, perché spesso si tratta di persone sia ipertese sia con una scarsa efficienza renale. Un consiglio che spesso viene disatteso non per cattiva volontà, ma perché le papille gustative si modificano con l’età e gli anziani, in media, sentono meno i gusti.
Eppure proprio gli anziani, così come chi soffre di scompenso cardiaco, di ipertensione e di malattie renali, devono scrupolosamente osservare le soglie indicate dall’Oms. "Nelle malattie come lo scompenso o alcune patologie renali, la dieta iposodica è una prescrizione, ed ha la stessa importanza di una medicina. Si tratta di condizioni in cui l’organismo già tende a ritenere i liquidi, e quindi il sale va a peggiorare la situazione", spiega Massimo Volpe, ordinario di Cardiologia presso l’Università di Roma La Sapienza. Questi pazienti devono quindi tutti non superare la soglia dei 3 grammi. Così come devono fare quei pazienti ipertesi che sono affetti da una forma di ipertensione sodio sensibile. Non tutti gli ipertesi lo sono e chi non ha un’ipertensione sodio-sensibile si avvantaggerà di meno da una dieta poverissima di sale. Anche se, comunque, deve rispettare i tetti Oms.
E a poco serve cercare nelle boutique alimentari sali esotici e costosi. Dal Fleu de sel de Camargue, sale marino noto come "il caviale del mare", poiché è il più raro e prezioso dei sali marini naturali, all’Alaea (Hawaiano Rosso) e al Hiwa Kai (Hawaiano nero), passando per quelli affumicati come il Salish, lo Yakima o il Durango, fino al sale rosa dell’Himalaya di gran moda: hanno tutti comunque un equivalente contenuto di sodio. "I sali esotici non aggiungono nulla dal punto di vista nutrizionale, mentre hanno un impatto ambientale legato al trasporto, provenendo da paesi lontani", spiega Leclerq: "Non c’è alcun buon motivo per usarli. Sono semplicemente colorati a causa di impurità presenti nei cristalli di sale". L’hymalaiano, per esempio, è un sale di roccia che oltre a sodio e cloro contiene ferro, rame, calcio, potassio e altri micronutrienti.
L’unico accorgimento che vale davvero la pena di usare per tutelare meglio la salute è quello di scegliere il sale iodato, importante per mantenere i giusti livelli di iodio nell’organismo. "Questo elemento è andato diminuendo nelle acque, e quindi negli alimenti, causando un aumento delle malattie della tiroide nella popolazione. Ma l’assunzione di sale iodato è una prevenzione efficace per questo problema: 5 grammi equivalgono al fabbisogno giornaliero di iodio", sottolinea Migliaccio.
Per raggiungere l’obiettivo di una dieta equilibrata anche dal punto di vista della sapidità e mantenersi entro i 5 grammi giornalieri non bisogna attuare scelte drastiche, rischiando poi di non riuscire a mantenere fermo il punto. "Basta evitare grandi quantità di salumi e formaggi, eliminare patatine e salatini e, ovviamente, non aggiungere sale alle pietanze", spiega Volpe: "È inutile invece mortificarsi levando il sale dall’acqua di cottura della pasta: la quantità di sodio assunta in questo modo è irrilevante, mentre il gusto ne trova giovamento".
A sorreggerci nello sforzo viene la notizia che una dieta sciapa giova anche alla linea: chi soffre di ritenzione idrica, di edemi e cellulite deve infatti sapere che il sodio trattiene i liquidi. In sintesi, a sentire i nutrizionisti: a scanso di equivoci, meglio bandire la saliera dalla tavola.
ha collaborato Caterina Visco