(c.l.), la Repubblica 27/1/2011, 27 gennaio 2011
BONDI RESTA MINISTRO, SFIDUCIA RESPINTA - ROMA
Finisce secondo le previsioni della vigilia. Con la mozione di sfiducia al ministro dei Beni culturali Sandro Bondi respinta. Ma con numeri ben più consistenti di quanto le opposizioni avessero preventivato. Ventidue quelli di scarto: in 314 dalla maggioranza dicono no all´atto di accusa, 292 votano a favore (Pd, Idv, terzopolo), due gli astenuti.
Complici le numerose assenze per motivi politici (il Consiglio d´Europa sulla persecuzione dei cristiani) e personali, il pallottoliere registra un successo del centrodestra più marcato rispetto ai tre voti del 14 dicembre e ai dieci di una settimana fa, quando era stata approvata la relazione del ministro Alfano sullo stato della giustizia. Ma la maggioranza non guadagna neanche un voto. C´è il pienone delle grandi occasioni a Montecitorio, ministri e sottosegretari precettati. Le defezioni si contano soprattutto tra le file delle opposizioni. Assenti quattro finiani: Barbareschi, Bongiorno (postumi della gravidanza), Consolo e Paglia. Non partecipano al voto Gaglione (misto), Guzzanti e Tanoni del terzo polo, oltre ai Pd assenti per malattia: Capano, Mastromauro, Fedi, Rossomando. Mancano poi Merlo, Pezzotta e Ria dell´Udc. Diventa un caso, solo in parte chiuso in serata, il voto degli autonomisti di Raffaele Lombardo. Il governatore piomba a Montecitorio per convincere tre recalcitranti dei suoi cinque a votare la sfiducia. Riuscirà a riacciuffare il solo Carmelo Lo Monte. Ma Ferdinando Latteri e Aurelio Misiti si terranno lontani dall´aula al momento del voto. I restanti due, tra i quali il fratello dello stesso governatore siciliano, non erano proprio alla Camera. Alla fine anche i due Svp Siegfried Brugger e Karl Zeller si astengono, apprezzando «l´impegno formale di Bondi a individuare una soluzione condivisa sulla questione dei monumenti ai caduti» nel loro territorio. Questione delicata, dicono, da quelle parti.
Il dibattito vola via senza colpi di scena ma non mancano i momenti di tensione. "Villaggio preistorico Nola" è scritto sul cartello esposto a beneficio di teleobiettivi dal dipietrista campano Franco Barbato per denuncia il caso di un «reperto di 4000 anni abbandonato sotto una frana» e fatto rimuovere dal presidente della Camera. Costretto a intervenire, Gianfranco Fini, pure quando un altro idv, Pierfelice Zazzera sostiene in aula che «il ministro Bondi meriterebbe metaforicamente un calcio nel sedere». Fino alla quasi rissa al momento della chiama, quando va a votare il finiano Fabio Granata e il leghista Giampaolo Dozzo lo insulta. Scatta il parapiglia. Nino Lo Presti, altro finiano siciliano, si lancia in difesa del collega e i commessi intervengono per dividere gli onorevoli. La difesa di Sandro Bondi è accorata, un´arringa di quasi mezzora in cui ripercorre quanto il ministero, nonostante «la carenza di fondi», avrebbe fatto. Per attaccare in conclusione: «Il colpo mortale alla cultura lo ha dato la sinistra durante i suoi governi, destinandole 150 milioni di euro in meno. Volevate solo tentare l´ennesima spallata». Incassata la fiducia, il Guardasigilli Alfano gongola: «Ormai siamo 4 a 0 per noi, se consideriamo anche la fiducia del 29 settembre. La sinistra adesso si ispira a De Coubertain, basta partecipare». Ma hanno poco da esultare, gli ribatte il capogruppo Pd Dario Franceschini: «Sono inchiodati ai 314 del 14 dicembre, nonostante due mesi di vano tentativo di allargare la maggioranza. Ci sono state le assenze che sapevamo». È il leit motiv anche dei finiani Granata e Briguglio, «314 erano e 314 sono rimasti». In ogni caso, conclude Pier Ferdinando Casini, «ritenevamo che Bondi non abbia fatto bene e gli abbiamo votato contro, è stato un atto di chiarezza». Fuori dal palazzo la mobilitazione del mondo della cultura proseguirà. A cominciare da oggi. Dalle 14 un presidio in Galleria Colonna a Roma e dalle 16 spettacoli-blitz per le strade contro i tagli del governo.