Marinella Correggia, il manifesto 27/1/2011, 27 gennaio 2011
KASHMIR, EDILIZIA VS ALBERI
Non sono certo in soprannumero le guardie forestali in Kashmir: ognuna deve sorvegliare 10 chilometri quadrati, e senza l’aiuto di veicoli a motore, a sentire i responsabili del Dipartimento forestale. Non è strano che il contrabbando di legno pregiato galoppi.
La scorsa estate le attività illegali hanno anche approfittato degli scontri fra giovani kashmiri indipendentisti e polizia per organizzarsi meglio. Il Dipartimento per la protezione forestale ha messo in atto misure destinate a ridurre il contrabbando, anche facilitando (con l’eliminazione delle tasse) le importazioni di legname per ridurre la pressione sulle fonti locali. Una delle zone più calde è il territorio – ormai pieno di frane e smottamenti - di Rafiabad dove il legname è portato via con i cavalli.
È la solita spirale perversa di povertà umana e distruzione ambientale. I grossi commercianti sfruttano, pagandoli pochissimo per il lavoro sporco, taglialegna locali che si prestano non avendo altre fonti di reddito. Il rischio per questi contrabbandieri è anche di essere scambiati dall’esercito per insorti armati e essere presi di mira come già successo. Ma nella maggior parte dei casi, grazie ad accordi fra politici e commercianti del legname, i contrabbandieri locali sono protetti dalle forze di sicurezza e riescono a guadagnare anche 100 dollari in una notte.
Dove va a finire il legname? Le vendite illegali in questo territorio conteso fra India e Pakistan sono alimentate dal boom delle costruzioni su larga scala. Che – e pare di sentir parlare dell’Italia – stanno mangiando migliaia di ettari di terre agricole: secondo stime ufficiali, in pochi anni oltre 9.000 ettari sono stati convertiti a uso residenziale o commerciale. Una specie di sprawling ai danni della foresta.
In aree protette come i santuari di Aru e Overa, vivono tradizionalmente circa seicento famiglie della comunità tribale Gujjar, i quali – per disposizione della Corte Suprema - non possono né vendere né affittare queste terre. Teoricamente lo stesso governo, per poter costruire una strada in queste aree, deve chiedere il consenso della Corte Suprema. Ma molte persone influenti sono riuscite ad acquisire ampie superfici e vi hanno costruito hotel, residenze e cottage.
A Rafiabad, dove la distruzione è più intensa, alcuni ambientalisti avevano avviato un progetto chiamato «Trekking per gli alberi» che aveva convinto cinquanta contrabbandieri a lavorare come guide dei camminatori, identificato decine di alloggi turistici e organizzato un centro di formazione per questa riconversione occupazionale. Ben presto però il progetto è stato sospeso per pressioni e minacce.
Fra qualche mese ci riproveranno a Khag-Budgam, perché, sostengono, il commercio illegale di legname di foresta non può essere interrotto solo con leggi più dure. Occorre dare alla «manovalanza» delle decenti alternative di lavoro a livello di comunità.
Come all’altro capo del mondo, nella provincia di Misiones in Argentina, provano a fare un gruppo di famiglie dell’etnia Guaraní Mbyá le quali hanno recuperato recentemente un’area di giungla. I Guaraní Mbyá, alla pari di altre popolazioni indigene, avevano abbandonato la vita tradizionale e non di rado vivevano di assistenza. Con il recupero delle terre, un progetto tenta di coniugare la cultura ancestrale e il presente tecnologico: i giovani studiano – con i computer - per diventare guide turistiche, le attività artigianali sono rivitalizzate. Ma l’avvenire è incerto, i turisti pochi e l’espansione delle industrie di eucalipto e pino continua...