David Usborne, il Fatto Quotidiano 26/1/2011, 26 gennaio 2011
GLI SCONOSCIUTI CHE SCRIVONO LA STORIA
Il discorso del presidente Obama sullo stato dell’Unione non è stato scritto in un giorno o due. È stato subito dopo le elezioni di mid-term dello scorso novembre che hanno visto la vittoria dei re-pubblicani alla Camera dei Rappresentanti, che Obama ha chiamato a raccolta i suoi collaboratori per iniziare al lavorare all’importante discorso. Comprensibile che fosse un po’ ansioso. Il discorso viene ascoltato da circa 50 milioni di americani ed è un rituale che si ripete, a volte stancamente.
MA QUESTA VOLTA
Obama aveva politicamente bisogno degli accenti e del tono giusti.
Grazie a Dio il suo giovane, talentuoso speechwriter, Jon Favreau, detto Favs, ha partecipato a questa prima riunione. Jon Favreau è già una leggenda così come è una leggenda la storia dell’incontro tra il presidente Obama, allora senatore, e Jon Favreau, all’epoca 23enne. Durante un discorso del senatore, il giovincello ebbe l’ardire di interromperlo per sottolineare una ripetizione che rendeva il discorso meno fluido. “Chi è il ragazzo?”, chiese Obama ai suoi collaboratori. Il “ragazzo” un anno dopo faceva parte della squadra del futuro presidente ed è stato lui il creatore del famoso slogan: “Yes we can”. Naturalmente tra la riunione di novembre e oggi c’è stata la tragedia di Tucson e in quella circostanza il presidente ha fatto un altro discorso, buttato giù in un paio di giorni. Il discorso ha toccato vette di stile e commozione che sarà difficile replicare. Ma a scriverlo non è stato Jon Favreau, bensì Cody Keenan.
Infatti mentre John F. Kennedy aveva un solo, fidato speechwriter, che era anche uno dei suoi migliori amici, vale a dire Ted Sorenson, morto l’anno scorso, Barak Obama ne ha due: oltre a Favreau, il 30enne Cody Keenan, nato a Chicago e approdato alla Casa Bianca come stagista.
L’impennata dell’indice di popolarità di Obama negli ultimi giorni vieni da qualcuno attribuita proprio al discorso di Tucson.
ANCOR PRIMA di diventare presidente Obama si era fatto la fama di straordinario oratore, secondo forse al solo Ronald Reagan. Una volta insediato alla Casa Bianca sembrava aver perso l’ispirazione, il tocco magico. Persino i suoi più ferventi ammiratori ammettono che a volte i suoi discorsi più che ispirati erano noiosi.
Nel corso della storia è sempre stato nei momenti tragici della vita nazionale che i presidenti hanno saputo trovare nuovo e inaspettato slancio. È stato così con Bill Clinton il quale, dopo la batosta alle elezioni di mid-term, risalì la china con un grande discorso dopo il tremendo attentato di Oklahoma City nel 1995. E lo stesso fece Ronald Reagan all’indomani della tragedia della navicella spaziale Challenger.
Gli altri discorsi passati alla storia sono stati quelli di insediamento. Fu Ted Sorenson a scrivere la famosa frase “non chiedetevi cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedetevi cosa voi potete fare per il vostro Paese”.
Tuttavia, per tradizione, spesso il discorso sullo stato dell’Unione rischia di essere un fiasco. A ispirare quello di quest’anno sono stati lo stesso Obama e Jon Favreau. Il fatto è che ogni articolazione della macchina governativa vuole essere citata almeno una volta, ambisce al proprio pezzettino di riconoscimento e quindi il discorso è anche un delicato sforzo di mediazione e di equilibrio politico.
Walter Shapiro, opinionista ed ex speechwriter di Jimmy Carter, ha detto: “lo speechwriter della Casa Bianca può avere totale libertà nello scrivere un discorso di insediamento o un discorso da pronunciare dopo una tragedia come quella del Challanger o come quella di Tucson, ma il discorso sullo stato dell’Unione è inevitabilmente un documento burocratico redatto a più mani”.
Eppure anche in occasione dei discorsi sullo stato dell’Unione a volte espressioni particolarmente felici sono entrate nella storia come il famoso o famigerato “asse del male” di George W. Bush. Il presidente e Favreau farebbero carte false trovare qualcosa di altrettanto efficace e immaginifico. Ci aranno riusciti?
Copyright The Independent - Traduzione di Carlo Antonio Biscotto