Elisabetta Reguitti, il Fatto Quotidiano 27/1/2011, 27 gennaio 2011
LA MIA VITA CON GIULIO BIMBO DOWN - ORE 12,30. AI PIEDI
della scalinata d’ingresso della Ferrante Aporti aspettano alcuni genitori. Sulla strada davanti alla scuola le auto sfrecciano incuranti che da quel marciapiede tra poco spunteranno dei bambini. Un paio di vigili stanno appioppando una multa a un Suv fermo sulle strisce pedonali. Maria arriva affannata, sale di corsa le scale ed entra nell’atrio della scuola frequentata da 800 bambini di cui 18 sono “speciali” come Giulio, che la raggiunge accompagnato per mano da una bidella. Maria lo abbraccia mentre lui si affanna a cercare di raccontare qualcosa che solo una mamma può riuscire a capire. “È per quello che ho scritto il vocabolario di Giulio, perché così anche gli amici che ci vengono a trovare a casa riescono a capirlo”.
Milano zona monumentale. Palazzi ben tenuti e case anche meglio. In una di queste abita Giulio con la sua famiglia: mamma Maria, papà Claudio e il gatto Charlie. Giulio ha 9 anni, frequenta la seconda elementare, ma non è ancora in grado di parlare in modo comprensibile e l’ipotonia compromette la “motricità fine” delle sue mani e l’utilizzo dei polsi. Giulio ha la sindrome di Down, che non gli impedisce però di esprimere felicità quando si tratta di incontrare Paola, la nuova logopedista, con la quale sembra fare buoni progressi con i giochi di associazione logica.
Ore 13. Paola apre l’armadio delle sue “scatole magiche”: immagini e colori che per Giulio fino a poco tempo fa erano impossibili da mettere assieme, mentre ora di volta in volta diventano più familiari e sembrano avere un senso anche per la testa del bambino per il quale il termine continuità è davvero linfa vitale.
La famiglia di Giulio è una di quelle, fra le 17, che nel capoluogo lombardo hanno presentato e vinto il ricorso per discriminazione sulla base della riduzione delle ore di sostegno in classe. Di bambini come Giulio, nella sola Lombardia, ce ne sono 28.549 (su una popolazione scolastica di 1 milione 130 mila 297 unità); l’ufficio scolastico regionale ha attivato 12.218 cattedre di sostegno e dunque, tenendo buono il rapporto di un insegnante ogni 2 bimbi con disabilità (ma sono spesso di più) già mancherebbero 2.056 cattedre. Ma la vita di Giulio non ruota attorno ai numeri bensì alle conquiste, ai progressi, a ogni piccolo passo che riesce a fare per il suo progetto di vita il cui obiettivo dovrebbe essere l’autonomia e l’indipendenza.
IL DIRITTO AGLI INSEGNANTI
DI SOSTEGNO (E NON SOLO)
Maria ha 50 anni ed è traduttrice, Claudio di anni ne ha 52 ed è informatico. La crisi economica della Milano che corre non ha risparmiato neppure loro. Dicono: “C’è chi sta peggio di noi e ci sono bambini meno fortunati di Giulio che in fondo è figliounicoenonhabisognodialcunsupportoper muoversi e non dobbiamo girare con la sacca dei farmaci. Una mia amica, separata dal marito, ha tre figli di cui uno con pluriminorazioni. Ecco, per lei davveroognigiornoèunpercorsodiguerra.Senza parlare delle famiglie straniere. Ne conosco un paio che hanno bambini portatori di gravi disabilità. I genitori sono spaventati all’idea di chiedere ciò che spetterebbe loro. Tanto meno se la sono sentita di sottoscrivere il ricorso”.
La vita di Maria è rappresentata dagli impegni di Giulio: il lavoro viene relegato negli intervalli degli incontri periodici con i terapisti, i gruppi di lavoro, gli psichiatri o quando il bambino è impegnato nelle sue attività extra-scolastiche: piscina, logopedia e il centro diurno dell’abilità. Il tutto evitando stereotipie dannose per chi ha i problemi di Giulio.
“Intanto–spiega–tunonsaimaiquandofaitroppo o troppo poco perché non hai riferimenti ai quali rivolgerti. Non esiste neppure una banale guida che ti dica quali sono le esenzioni da alcune spese e alle quali hai diritto come, in alcuni casi, ai pannoliniomagariilbollodell’auto.Perfarecapire come vivono i genitori di bambini con disabilità faccio sempre l’esempio, magari banale, di quelle mamme che ritrovandosi ai giardinetti si scambiano pareri sul pediatra o altro. Ma noi come facciamo e a chi ci possiamo rivolgere? Certo esistono le associazioni, con il loro lavoro davvero prezioso e che di fatto sopperiscono in modo significativo a ciò che dovrebbe fare lo Stato. Ma per molte persone le associazioni rischiano di trasformarsi in una rete del ghetto. Per il resto è il nulla assoluto”. E sul welfare? “Le persone che hanno una certificazione di disabilità e non lavorano, così come i minori che praticano terapie (e vanno a scuola) ricevono un assegno di frequenza o di accompagnamento che equivale a una “pensione di invalidità” che parte dai 250 euro. Ma le famiglie non hanno solo bisogno di quello.Unesempio?Nessunoèingradodirendere visibili i servizi che magari sono anche attivi. Fin dall’inizio sei completamente solo”.
Fa un salto nei ricordi di nove anni prima Maria raccontando il momento della nascita di suo figlio. “In un nanosecondo devi seppellire ogni immagine del bambino tanto atteso”. Un ricordo su tutti è forse il peggiore: “I medici hanno convocato me e Claudio nella nursery, davanti a tutti quei bambini ai nostri occhi perfetti e bellissimi, per confermarci la diagnosi per Giulio. E adesso cosa facciamo? Abbiamo chiesto. Fino ai 2-3 anni potete crescerlo come un bambino normale. Poi ci sono le associazioni. Sono state le risposte”.
Ore 14. Finisce la logopedia. Una corsa verso l’auto. Stretto, nel suo seggiolino sistemato nel sedile posteriore, Giulio comincia a sfogliare con curiosità il suo libro preferito: Pinocchio. Gli occhialetti azzurri lentamente gli scendono sul nasino mentre con il dito indica l’enorme balena che inghiotte il burattino. Giulio usa le parole sconosciute del suo alfabeto.
OSTACOLI, STRATEGIE
E TIMORE DEL FUTURO
“Una delle fatiche maggiori nella nostra vita è non riuscire a capire cosa vuole nostro figlio – ammette Maria mentre guida nel traffico della Milanochecorre–.Avolteèpiùfacileaffrontarele difficoltàesternechefarsicaricodiquellecheogni giorno devi risolvere dentro casa: per esempio, per Giulio che non collabora con nessun medico, la visita dentistica o un’ecografia si trasformano in un’impresa. Con Giulio non è mai accaduto, ma alcuni bambini per una banale panoramica o un intervento dal dentista devono essere sedati in anestesia totale perché non stanno fermi e si agitano. Ogni volta bisogna trovare strategie diverse, consultare più medici nella speranza di trovare quello che va bene”.
Alle difficoltà psico-fisiche si uniscono le paure. “Con un bambino di solito le cose succedono, con Giulio devi farle succedere. È una corsa contro il tempo perché spesso ti senti dire che se non scrive entro una certa età non scriverà mai. Se non parla entroun’altranonlofaràpiù.Ealloratisbattidauna parte all’altra per trovare il modo migliore per aiutarlo. Per avere un comportamento ‘adeguato’. Terapie ed esercizi per imparare a ragionare e a parlare. Per garantirgli un percorso di vita in una società che non aspetta chi viaggia a una velocità diversa. Giulio è lento. Lo è quando la mattina, appena alzato, si infila i vestiti al contrario. Lo sarà sempre e questa è una società che corre”.
Ritorna spesso Maria a parlare del progetto di vita, la “presa in carico”, previsto peraltro anche dalla legge 328 del 2000; nello stesso anno il governo ha emanato un decreto legislativo relativo a “norme per il riordino degli assegni e delle indennità” spettanti agli invalidi civili e sordi perlinguali. Ebbene, nessun governo ha mai usato quella delega o l’ha fatta reiterare con un nuovo provvedimento. C’è poi l’articolo 38 della Costituzione che recita: “Ogni cittadino inabile al lavoroesprovvistodimezzinecessaripervivereha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Allora Maria spiega: “La nostra speranza è che Giulio abbia una parte attiva nella società. Il nostro impegno in ogni momento della giornata è per cercare di renderlo autonomo e capace”.
Parlando di autonomia, secondo la Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) lo stanziamento per il Fondo nazionale per le politiche sociali è sceso nel 2008 sotto i 1.500 milioni di euro. Per l’Istat le persone con disabilità – di sei anni e più – che vivono in famigliasono2milionie600mila,parial4,8%della popolazione italiana. La persona con disabilità nel nucleo familiare può essere una delle principali cause di impoverimento, a causa del sovraccarico assistenziale, dei costi socio-sanitari e dei riflessi negativi sulla carriere lavorativa dei familiari.
Ore 15. La fortuna di trovare un parcheggio non distante dal centro diurno per minori con disabilità dedicato ai bambini (unico a Milano), dove Giulio trascorre il suo pomeriggio fino alle 18, quando il bus lo riporta a casa. Dopo averlo sganciato dal seggiolino Maria si assicura di prendere il diario di Giulio. Un grande quaderno sul quale vengono scritte più cose possibili sulle attività svolte. “È per dare continuità alle cose che riesce a fare o quelle per le quali ancora si deve esercitare. È una sorta di filo di Arianna per non perdersi nel labirinto degli ostacoli di Giulio”.
NORMALITÀ, DIFFERENZE
E PREGIUDIZI
Il centro, diretto da Carlo Riva, si chiama “L’officina delle abilità”. Nato tre anni fa (convenzionato con il Comune e accreditato con l’Asl) ospita 21 bambini. Sembra un arcobaleno di colori fatto dalle diverse etnie dei piccoli ospiti. Giulio si sente a casa. Sparisce per qualche secondo: giusto il tempo per sfilarsi le scarpe e mettere la sua giacca sull’appendino accanto al quale c’è la sua foto. Poi scappa via. Corre alle sue cose, tante, ancora da fare. Nato d’intesa con le strutture di neuropsichiatria infantile del Niguarda, il Ca’ Granda e il Luigi Sacco, il centro ha comepuntidiforzailcoordinamentoconlascuola e il coinvolgimento dei genitori. Nell’“Officina delle abilità” il lavoro degli 8 operatori consiste nel sincronizzare il lavoro della scuola e delle neuropsichiatrie. L’obiettivo è mettere il bambino con disabilità al centro di una programmazione globale che tenga conto del diritto all’educazione ma anche favorisca il potenziamento delle abilità di base, l’apprendimento e l’ autonomia.
Ore 16. Si riprende l’auto direzione casa. Senza Giulio, il suo “topino” ma anche la “peste”, Maria confessa il suo disagio nel raccontare la sua vita rispetto a tante altre famiglie che vivono situazioni anche peggiori. “Io non so cosa sia una vita normale, con una famiglia normale, ma quella che vivo è la mia normalità. Non trovo tanta differenza tra la mia vita (pratica) e quella di altre famiglie. Tutto è normale se lo guardi da dentro, dentro casa tua tutto funziona comunque, poi ti affacci alla finestra e vedi le persone nelle altre case, per la strada e capisci che i normali sono loro: che non devono imparare a memoria la legge 104 per far rispettare i diritti dei propri figli.
Che non sanno cosa vuol dire portare tuo figlio di due mesi davanti a una commissione di medici che nonloguardanemmeno,mache–lettoilcariotipo – mette un timbro su un documento che ne dichiara l’invalidità”.
Emergono le profonde sensazioni di inadeguatezza e pure i sensi di colpa. “I momenti piùbellisonoquandomiofigliomidiceunsìcheio percepisco o mi convinco che sia espressione di una precisa volontà”. Poi sul domani di Giulio: “È inutile girarci intorno, quando penso al suo futuro vedo nero. Oggi ci siamo noi a svolgere un ruolo da mediatore tra nostro figlio e gli altri, ma tutto sembra fermarsi al presente perché non so cosa diventerà Giulio. Posso solo immaginare cosa non diventeràmai.Oraèunbambinoefatenerezza,ma da adulto sarà tutto diverso”.