Vittorio Malagutti, il Fatto Quotidiano 27/1/2011, 27 gennaio 2011
CON I SOLDI DEGLI ALTRI
Due uomini sull’orlo di una crisi di nervi, alla disperata ricerca di denaro per puntellare le imprese che dirigono. É questa l’immagine di Riccardo Fusi e Mario Aramini proiettata da centinaia e centinaia di pagine di intercettazioni telefoniche dei Ros dei Carabinieri. Tra loro mesi e mesi di colloqui, tra febbraio 2008 e l’estate 2009, che offrono un spaccato allucinante di un certo modo di fare finanza. Giochi di prestigio contabili. Prestiti che rimbalzano da una società all’altra. Fusi è un imprenditore. Aramini un banchiere. L’inchiesta giudiziaria è quella sulla cricca fiorentina degli appalti. Un’indagine che ruota attorno all’impresa di costruzioni Baldassini Tognozzi Pontello fino all’anno scorso guidata da Fusi, grande amico del coordinatore del Pdl Denis Verdini, anche lui indagato. Ara-mini invece, ex Unicredit, a quel tempo stava cercando di salvare la Banca Mb, un piccolo istituto milanese di cui era presidente. Per entrambi, mentre si scambiano telefonate dai toni sempre più affanati, si preparano guai grossi. Fusi, indagato, vedrà il suo gruppo precipitare fino sull’orlo del crac. La banca di Aramini nel giugno del 2009 verrà commissariata da Bankitalia e adesso, a diciotto mesi di distanza, rischia addirittura la liquidazione.
GLI ATTI GIUDIZIARI fiorentini gettano una luce nuova sul disastro di Mb. Dai colloqui intercettati dai Ros si capisce che i finanziamenti dell’istituto di Aramini nei confronti del gruppo di Fusi erano di gran lunga superiore ai limiti fissati da Banca d’Italia. E, in più, c’era anche un problema di conflitto d’interessi, perchè Fusi, attraverso una società di cui era indirettamente socio aveva rilevato una quota del 5 per cento di Banca Mb. I carabinieri annotano che il 4 giugno 2008 l’istituto milanese delibera un finanziamento di 6,8 milioni alla Finmari srl, controllata al 50 per cento da Fusi. E pochi giorni dopo, la Alfieri srl, che per il 50 per cento fa capo proprio alla Finmari, compra il 5 per cento della stessa Banca Mb. Insomma , un circolo vizioso. I soldi che escono dalla banca tornano in cassa alla banca sotto forma di capitale. Un’operazione, che, nei termini in cui viene descritta nelle carte dell’indagine, sarebbe vietata dalla legge.
Il fatto è che ai tempi della gestione di Aramini gli affari di questo tipo pare che fossero assai frequenti. Un’ispezione di Banca d’Italia del 2009, poco prima del commissariamento, aveva già segnalato prestiti a clienti per 10 milioni di euro per acquistare azioni di nuova emissione dell’istituto. Il capitale di Mb era sparpagliato in piccole quote tra decine di soci. In parte imprenditori del Nordest come i veronesi Colleoni o il gruppo Greggio, nomi conosciuti del mondo finanziario come Giuseppe Garofano o la famiglia Burani, anche loro travolti da un crac.
LE TELEFONATE tra Fusi e Aramini hanno toni più che amichevoli. I due sodali sfoggiano grande consuetudine di rapporti. Perfino troppa. E così, nei verbali depositati a Firenze, troviamo Fusi che bussa a soldi, 10 milioni di euro. Aramini, candidamente gli risponde che non può darglieli perchè in banca “non c’è liquidità”. In effetti, come poi rileveranno gli ispettori delle banca d’Italia l’istituto per mesi ha viaggiato al limite del collasso finanziario. Fusi però suggerisce il modo di aggirare il problema. Al telefono spiega al suo interlocutore: “Se io domani ti dico ... c’è da partecipare ad un pool e mi servono 20 milioni ... però i 20 milioni te li do io... non so se mi spiego”. Alla fine Mb parteciperà per 10 milioni a un finanziamento in pool di 150 milioni che comprendeva anche il Monte dei Paschiper 60 miioni, l’Unipol Banca (50 milioni), il Credito cooperativo fiorentino di Verdini (10) e la Cariprato per altri 20 milioni.
Problema supplementare: Fusi era in conflitto d’interessi perchè un suo rappresentante (Monica Maniscalchi) sedeva nel consiglio di Mb. Anche qui Ara-mini sa il fatto suo. Tutto risolto perchè, come spiega al telefono, “i soldi li troveremo e domani delibereremo” il finanziamento. Però, dice il presidente di Mb, “bisogna scansare i riferimenti al tuo consigliere”. In altre parole bisogna far finta di niente a proposito del legame tra Fusi che riceve i soldi e il suo rappresentante nel consiglio di amministrazione della banca. Affare fatto, quindi, ma ormai Mb ha i giorni contati. Sono arrivati gli ispettori di Banca d’Italia e a luglio del 2009 l’istituto milanese viene commissariato. Aramini però non ha perso tutte le speranze. Uno dei commissari è Luigi Moncada, anche lui un ex Unicredit. “Un amico, un amico”, lo definisce al telefono con Fusi il presidente (appena rimosso) di Mb. Speranze mal riposte. Aramini è fuori. La banca è davvero al capolinea.