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 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

L’accusa alla Boccassini e quei controlli serali nelle stanze dei giudici - L’atto d’accusa del procu­r­atore capo e della procura ge­nerale

L’accusa alla Boccassini e quei controlli serali nelle stanze dei giudici - L’atto d’accusa del procu­r­atore capo e della procura ge­nerale. La memoria dell’avvo­cato- pm Spataro che invoca il rispetto della privacy. Le rela­zioni di servizio dei poliziotti­testimoni. Gira intorno a que­sti documenti al Csm la diatri­ba coi vertici degli uffici mila­nesi indispettiti dagli «atteg­giamenti amorosi » del sostitu­to Ilda Boccassini. Il 4 novem­bre del 1981 il procuratore ca­po Mauro Gresti scrive alla procura generale per segnala­re un’informativa della Digos dove si dà conto di questi «rap­porti » con un giornalista di Lotta Continua , e nel farlo pre­ga il collega «di esaminare se non sia inopportuno e com­promettente del prestigio del­l’ordine giudiziario che detto magistrato (la Boccassini, ndr ) continui a prestare servi­zio presso la procura di Mila­no ». Il procuratore generale Sofo Borghese spedisce tutto al Csm (che poi archivierà as­solvendo la Boccassini, ndr ) e per conoscenza al Guardasigil­li. Nel frattempo ben 27 colle­ghi di Ilda insorgono per iscrit­to contro il loro capo lamen­tando una sproporzione del­l’iniziativa «per un episodio di trascurabile rilevanza». «INCONTRI» SERALI IN UFFICIO E LE INDAGINI DEI CARABINIERI Il procuratore Gresti risponde per le rime, indirettamente, parlando col Pg «in ordine ai comportamenti tenuti in uffi­cio dal sostituto Ilda Boccassi­ni in un lasso di tempo tra l’au­tunno del 1979 e l’inverno del 1980». Non un singolo episo­dio, dunque. Gresti fa riferi­mento a quanto raccontatogli sia da un addetto alle pulizie del tribunale che dal colonnel­lo dei carabinieri Adolfo Bono «da me riservatamente incari­cato di ispezionare, specie nel­le ore serali, gli ambienti della procura di Milano al fine di evi­tar­e il ripetersi di episodi disdi­cevoli o comunque non certo commendevoli a me segnala­ti ». Una delle soffiate finisce addirittura negli atti di indagi­ne della procura generale al­lorché si chiede di riscontrare quanto riferito dall’addetto delle pulizie, e cioè «di aver vi­sto, una sera d’inverno del 1980, nell’entrare dell’ufficio della medesima, per le puli­zie, la dottoressa Boccassini in atteggiamento compromet­tente, seduta a gambe aperte sulle gambe di un uomo e di fronte allo stesso». Interroga­to successivamente, l’addetto alle pulizie preciserà di aver solo detto a un colonnello dei carabinieri ciò che gli era stato confidato da un avvocato. A sollevare dubbi sul superteste alcune colleghe della Boccas­sini (Annamaria Gatto e Ma­nuela Manzi) che al difensore di Ilda riferiranno di confiden­ze ricevute dallo stesso addet­to delle pulizie, che parlava di altri «incontri» in ufficio con al­tre donne in toga. Non con la Boccassini. LA LETTERA «EVERSIVA» E L’IRA DEL PROCURATORE Ma torniamo al j’accuse del procuratore Gresti. «Non as­sunsi allora iniziative discipli­nari nei confronti della dotto­ressa Boccassini perché riten­ni, che i fatti riferitimi non ave­vano avuto risonanza fuori dall’ambiente ristretto dell’Uf­ficio (...)». Oltre all’episodio «amoroso» avvenuto a due passi dal Palazzo di giustizia, scrive Gresti, a turbarlo fu il rapporto con un giornalista critico con l’azione della pro­cura di Milano sul fronte delle fermezza nella lotta al terrori­smo. Rimase stupito da una lettera scritta dalla Boccassini «insieme ad altro magistrato della procura di Milano e sot­toscritta da numerosi “opera­tori del diritto”... », di solidarie­tà verso un imputato di parte­cipazione a banda armata e di altri reati eversivi che chiede­va di cambiare carcere. Alla ri­chiesta di trasferimento del procuratore capo, e del procu­ratore generale Antonio Leo che sosterrà l’accusa,non ver­rà dato seguito. LA VERSIONE DI ILDA: «FATTI PRIVATI E RISERVATI» Anche grazie a questa memo­ria difensiva presentata dal suo «avvocato» di allora, il pm Armando Spataro. Che ripor­ta alla lettera le parole della Boccassini che nella sua arrin­ga difensiva si appella alla pri­vacy, alla riservatezza: «(...) In­tendo precisare pur col rispet­to verso l’autorità che ha pro­mosso il procedimento, che non ritengo di dover entrare nel merito del fatto contestato­mi. Ritengo infatti che esso concerne un tipo di questioni che attengono esclusivamen­te al­la sfera della mia vita priva­ta coperta, come tale, da un di­ritto di assoluta riservatezza. Il trattarne nel merito in que­sta sede - insiste Ilda la rossa ­sia pure a fini difensivi equi­varrebbe, a mio giudizio, ad accettare un’inammissibile in­terferenza in ambito di com­portamenti che, nei limiti del­l­a loro evidente liceità alla stre­gua delle norme che regolano la vita di tutti i cittadini, e in particolare la disciplina dei magistrato, non ritengo sotto­ponibili a controllo ». Successi­vamente, però, la Boccassini qualcosina dice: «Non ricordo con precisione l’episodio del 15 ottobre 1981. Conosco da tempo il giornalista (...) non escludo di averlo salutato af­fettuosamente. Tale amicizia non ha avuto alcuna influen­za sul lavoro di ufficio. Mai mi ha chiesto notizie, mai ha in­terferito sulla mia attività». GLI AGENTI-TESTIMONI FIRMANO L’INFORMATIVA Nella relazione a doppia firma dei testimoni oculari del «fat­taccio » (un poliziotto e un fi­nanziere) inviata al dirigente Digos e da qui all’ufficio del procuratore, si fa presente che «il giorno 15.10.1981 alle ore 18.30, lungo via Cesare Batti­sti, angolo corso di Porta Vitto­ria veniva attirata la mia atten­zione (e il poliziotto che parla, ndr ) da una coppia di giovani che abbracciati, in atteggia­mento amoroso, si baciavano mentre camminavano (...). Mi colpiva in modo particolare lo sguardo insistente e cattivo che mi veniva lanciato dalla dottoressa in questione, tale da trarre anche l’attenzione del benzinaio sito nella stessa via, al punto di dirmi poi “ma hai visto che sguardo che ti ha lanciato quella lì?”...».