MASOLINO D’AMICO, La Stampa 27/1/2011, pagina 37, 27 gennaio 2011
MARIO SCACCIA
L’ironico poeta del palcoscenico -
Sotto alcuni aspetti non secondari, Mario Scaccia era un attore di teatro all’antica, uno degli ultimi. Di formazione accademica, anche se non terminò gli studi alla Silvio d’Amico, del mestiere possedeva tutto, voce, tecnica, memoria, gestualità; si trovava egualmente a suo agio nel comico come nel tragico; era un incantevole dicitore di versi. Come gli attori di una volta, aveva sempre avuto il nome in ditta, a partire dalla costituzione della ora leggendaria Compagnia dei Quattro, con Franco Enriquez, Valeria Moriconi e Glauco Mauri (1961), fino alla compagine di cui, ormai in tarda età, era l’unico animatore. Ancora come quegli antichi giganti, è anche praticamente morto sulla breccia: il suo ultimo spettacolo, un monologo tratto dal suo libro Interpretando la mia vita , era andato in scena all’Arcobaleno di Roma neanche un mese fa. Sotto altri aspetti però era anche un attore moderno, anzi, molto moderno. Era infatti costituzionalmente ironico; ed era, malgrado la mole e per usare un aggettivo oggi spesso abusato, leggero. Se qualche volta si concedeva un tocco di gigioneria, lo faceva ammiccando, tra virgolette, facendo capire che scherzava. Fondamentalmente infatti era un attore di quelli che voleva Brecht, uno che non si immedesimava mai nel personaggio ma che piuttosto lo porgeva, guardandolo mentre lo interpretava, con un gusto contagioso.
Il fisico particolare, la smorfia con gli occhi spiritati che gli riusciva con tanta efficacia, lo destinarono presto alle caratterizzazioni, e fu insuperabile come Shylock e come Malvolio, e poi come Polonio, come fra’ Timoteo nella Mandragola e come Manfurio nel Candelaio ; da protagonista assoluto, rispolverò e portò al successo Chicchignola di Petrolini. Del ritorno in auge del grande comico romano fu il principale promotore, a partire dagli Anni 60, così come fu un suo cavallo di battaglia la lettura del Belli. Non per nulla Scaccia era nato nella capitale, figlio di un pittore, il 26 dicembre 1919. Fatta la guerra, uscito dall’Accademia, si sarebbe diviso tra il palcoscenico e lo schermo, sia grande sia piccolo, per tutto il resto di una esistenza molto lunga e molto attiva. Il suo talento per la commedia brillante emerse per primo, e negli Anni 50 Scaccia, impiegato in varie compagnie, si segnalò particolarmente in gustosi testi di Scarnicci e Tarabusi ( Rosso e nero , Uno scandalo per Lili , Il diplomatico ). Poi venne la gloriosa stagione coi surricordati Quattro, e una serie di classici e moderni, tra cui Ionesco (a lui particolarmente congeniale), Feydeau, O’Neill, Stoppard, Arthur Miller, nonché Shakespeare. Ben presto lo chiamò anche la tv, come comprimario di lusso in numerosi sceneggiati ora storici, tra cui Ottocento (1959) di Majano, La Pisana (1960) di Vaccari, Le anime morte (1963), Il conte di Montecristo (1966) e « Tartarino sulle Alpi (1968) di Fenoglio, senza dimenticare Le avventure di Pinocchio (1972) di Comencini.
Anche al cinema la sua maschera e la sua verve particolarmente efficace nel grottesco fu sfruttata spesso, e tra i registi che se ne servirono sono Blasetti, Risi, Zampa, Bianchi, Giannetti, Steno, Freda, Festa Campanile, Comencini, Manfredi, Lattuada, Bolognini, Magni, nonché, con particolare rilievo, Elio Petri, in A ciascuno il suo (1967) e La proprietà non è più un furto (1973). A partire dagli Anni 80, ossia da quando i due media di maggiore diffusione cominciarono a impiegarlo meno, Scaccia privilegiò l’attività che preferiva e per cui era nato, quella davanti a un pubblico in carne e ossa; e a lungo mandò avanti quasi da solo il piccolo Teatro San Genesio a pochi passi dalla sua abitazione di Piazza Mazzini. Cessata anche questa esperienza, ci regalò ancora un’apparizione memorabile, amorevolmente diretto da Maurizio Scaparro, come il Goldoni vecchio dei Mémoires . Fu un piacere e un’emozione vederlo recitare accanto a un bravo attore delle ultime leve che sosteneva la parte di Goldoni giovane e che mentre stimolato dal suo esempio dava il meglio di sé, lo contemplava incantato della sua classe.