Peppino Caldarola, Il Riformista 25/1/2011, 25 gennaio 2011
LE 500MILA VITTIME DEL CAPORALATO
Molti ricorderanno che c’è stato un tempo in cui il “caporalato” dilagava soprattutto nelle campagne e in quelle meridionali in particolare. Furono necessarie straordinarie lotte sindacali, guidate dalla Federbraccianti di Feliciano Rossitto e poi di Donatella Turtura, per mettere all’ordine del giorno il superamento di questa forma di schiavitù. Ieri la Flai-Cgil, sindacato degli alimentaristi, e la Fillea-Cgil, che organizza gli edili, hanno reso noto che in Italia, nell’Italia di oggi, sono ancora oltre cinquecentomila i lavoratori che vengono sottoposti all’arbitrio dei “caporali”. Quattrocentomila in agricoltura, centocinquantamila in edilizia. I “caporali”, che un tempo erano la longa manus del padronato agricolo, ora sono assoldati delle organizzazioni criminali che si sono impossessate di questo segmento del mercato del lavoro. Molti di questi uomini venduti come schiavi per pochi euro, e spesso ospitati in baracche, sono extracomunitari. Le statistiche dicono anche che stanno aumentando i cassintegrati e che molti di loro, spesso quaranta-cinquantenni, guardano alla fine dell’indennità come all’annuncio della scomparsa di qualsiasi reddito. Milioni di uomini e di donne, fra cui i tantissimi giovani senza lavoro, vivono così, arrangiandosi e nella convinzione che ieri era meglio di oggi e soprattutto di domani. Non sono figli dell’arretratezza ma prodotti della modernità. In questi giorni spesso mi rimproverano posizioni di sinistra. Ma, ditemi voi, dove c…zo bisogna stare?