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 2011  gennaio 24 Lunedì calendario

LO STILE DI TOTÒ E IL «RISCATTO» DELLA POLITICA

Nell’era del berlusconismo extra e contra legem, la notizia di un politico che si consegna alle patrie galere dopo la sentenza definitiva della Cassazione viene riportata come un punto di svolta, quasi rivoluzionario, del sistema. È accaduto con l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro, peraltro distaccatosi dall’Udc di Casini per ritornare nel centrodestra e appoggiare il governo Berlusconi. Condannato a sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione del segreto istruttorio, Cuffaro è andato a Rebibbia «con grande dignità e la protezione della Madonna e di Santa Rosalia», come è stato scritto in questi giorni. Insomma, un politico che dà conto, nel bene e nel male, delle sue responsabilità. La variante estrema del concetto anglosassone di accountability.
Sostiene l’ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino, oggi centrista dell’Udc: «Cuffaro non è il primo politico che incorre in una sentenza definitiva. Nella Prima Repubblica ci sono stati Tanassi, Longo, Nicolazzi, De Lorenzo, nella Seconda Previti. Tutti hanno espiato la loro condanna». Eppure: «La grande dignità civile e istituzionale di Cuffaro si contrappone al frastuono che ogni volta fa Berlusconi quando si trova sotto inchiesta. Come succede anche oggi con il caso Ruby. Dov’è la violenza dei pm sulla sua privacy se il premier stesso non fa mistero delle sue feste e della sua vita privata?». Lo stile di Cuffaro contro lo stile del Sultano. Il primo a ricordarlo in questi giorni è stato Antonio Di Pietro, icona dei cosiddetti giustizialisti. Continua Pomicino: «La verità è che Cuffaro alle spalle ha una solida cultura istituzionale. La stessa di Andreotti, che si è fatto processare senza mai imprecare contro i magistrati. Detto questo, nel nostro paese ci sono alcuni italiani considerati irresponsabili civilmente e penalmente: il presidente della Repubblica e i pubblici ministeri. Ma ricordare queste cose sui pm in un momento del genere può sollevare un polverone strumentale, visti gli intenti punitivi del premier. Per me invece è una questione che attiene a un vero Stato di diritto». L’ex ministro ricorda anche i suoi di giorni in galera, preventiva però: «Diciassette giorni per poi essere prosciolto 16 anni dopo. Ho subìto 42 processi e sono stato condannato in uno solo per finanziamento illecito, come Bossi (Enimont, ndr)».
Anche il dalemiano Nicola Latorre, vicecapogruppo del Pd al Senato, riconosce a Cuffaro «dignità e coraggio» pur avendolo «contrastato da avversario politico». Dice Latorre: «Oggi è raro vedere un politico in carcere, ma è raro anche un politico che si dimette in presenza di un’inchiesta. E dico queste cose al netto del tormentato rapporto tra politica e giustizia. In merito il mio pensiero è noto: uno dei più gravi errori di questi anni è stato lasciare ai magistrati la risoluzione dei problemi politici». Sulla diversità cuffariana in tempi di pretesa impunità del Cavaliere, Latorre concorda: «Proprio per questo è diventata una grande notizia, di cui si parla con enfasi. Cuffaro non si è sottratto alla giustizia e questo stride fortemente con tutto quello che vediamo oggi. Intendiamoci, su condanne di questo tipo bisogna intervenire in punta di piedi e con delicatezza, considerato il dramma umano. Però la realtà è questa». Come Pomicino, anche il vicecapogruppo democrat a Palazzo Madama ricorda la provenienza di Cuffaro: «Io ho combattuto duramente la Dc, ma la scuola democristiana aveva un profondo senso dello Stato, a parte alcune vicende che conosciamo. In generale, c’era una seria formazione nella selezione della classe dirigente di quel partito, bisogna riconoscerlo. A Giulio Andreotti non è mai passato per la testa di non presentarsi davanti ai giudici dei suoi processi».
Il finiano Carmelo Briguglio ritorna sull’«unicità» della sentenza: «È vero che ci sono stati altri casi, però forse è la prima volta di una condanna così pesante. In un momento in cui qualcuno si rifiuta di considerarsi uguale come gli altri davanti alla legge, questa sentenza riafferma il valore dell’articolo 3 della Costituzione». Ovviamente, quel «qualcuno» è molto noto: «Il contegno di Cuffaro è da evidenziare per questo, perché altri hanno una cifra diversa e contestano alla radice i giudici». Paradossalmente, secondo Briguglio, l’immagine di Totò Cuffaro che si costituisce nel carcere romano di Rebibbia «riscatta» un intero ceto politico, compreso chi continua a considerare la magistratura alla stregua di un potere sovversivo. Il falco finiano poi precisa: «In ogni caso provoca sempre dispiacere vedere un politico che va in carcere. Io non sono tra quelli cui piace la ferocia di questo spettacolo. Non siamo al Colosseo con i condannati ad bestias e non godo per queste scene da antica Roma».