Brian Blackstone e Marcus Walker, MF 25/1/2011, 25 gennaio 2011
TRICHET AI POLITICI: DATEVI UNA MOSSA
Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha parlato della crescente preoccupazione per l’inflazione, dell’esigenza di una maggiore disciplina di bilancio in Eurolandia e della strategia di uscita dalla crisi.
Domanda. Monsieur Trichet, il 2008 e il 2009 sono stati anni di crisi, mentre il 2010 è stato l’anno della stabilizzazione e della ripresa.
Come prevede che sarà il 2011?
Risposta. Da quando è cominciata la ripresa, nel terzo trimestre del 2009, l’economia reale ha segnato un inaspettato andamento positivo. Questo è incoraggiante. Considero il 2011 un anno in cui sarà necessario continuare a lavorare strenuamente per aumentare la capacità di recupero del settore finanziario e migliorare le politiche fiscali. La crisi, iniziata nel 2007 e aggravatasi nel settembre 2008, ha messo innanzitutto a nudo la fragilità del settore finanziario e, in secondo luogo, ha rivelato la relativa vulnerabilità delle finanze pubbliche nelle economie avanzate.
D. Cosa la preoccupa di più?
R. Pensare che il fatto di essere riusciti a superare una depressione e avere iniziato la ripresa potrebbe farci perdere lo slancio nelle riforme che sono tuttora urgentemente necessarie. Questo è il pericolo principale.
D. Quest’anno l’austerity riguarderà tutta l’Europa.
Ma un recente rapporto delle Nazioni Unite ha sottolineato che l’austerity rischia di causare una nuova crisi economica. Lei è d’accordo?
R. No, non sono d’accordo. Non accolgo il ragionamento semplicistico secondo cui perseguire politiche fiscali oculate interferirebbe con la crescita. Anzi, penso che l’attuazione di tagli alla spesa appropriati, nei Paesi in cui sono necessari, sia uno degli elementi che favoriscono la crescita, perché la sostenibilità delle finanze pubbliche determina una differenza nella fiducia delle famiglie, delle imprese, degli investitori e dei risparmiatori, un elemento indispensabile per alimentare la crescita e la creazione di posti di lavoro.
D. Quindi gli Stati Uniti stanno sbagliando? Washington sta attuando nuovi stimoli fiscali.
R. Non spetta a me dare lezioni ad altre economie avanzate. Noi abbiamo le nostre responsabilità. Nel nostro caso siamo fortemente convinti che una buona politica fiscale favorisca la fiducia e faccia quindi parte di una strategia volta a rafforzare la crescita.
D. Nella sua ultima conferenza stampa ha più volte accennato all’aumento dei tassi del luglio 2008, dichiarando che la Bce non si impegna mai a priori a non modificare i tassi di interesse. Queste sue affermazioni sono state erroneamente interpretate come favorevoli a un rialzo dei tassi?
D. Non ho niente da aggiungere a quanto ho dichiarato giovedì 13 in occasione della conferenza stampa della Bce. Le mie dichiarazioni vanno contestualizzate all’interno dei primi 12 anni di vita dell’euro, durante i quali abbiamo ottenuto una stabilizzazione dei prezzi, in linea con la nostra definizione: meno del 2%, vicino al 2%. Se si esamina la media annua dall’avvento dell’euro, si ottiene un valore pari all’1,97%, un risultato migliore rispetto a quelli ottenuti in un arco di tempo analogo nel mezzo secolo precedente. Risultati simili non sono il frutto del caso. Prendiamo molto sul serio il nostro mandato. E questo spiega il solido ancoraggio delle nostre aspettative in materia di inflazione: lo consideriamo uno dei nostri asset principali perché consente di evitare gli effetti di seconda battuta, in particolare quando il petrolio sta rincarando. Per quanto riguarda i prezzi dell’energia e delle materie prime, sono in corso diversi sviluppi che continueremo a monitorare attentamente.
D. Una politica monetaria più restrittiva produrrebbe l’impatto principale su Paesi come la Spagna, la Grecia e l’Irlanda, dove il debito privato è collegato all’Euribor. Capisce perché questi Paesi periferici sono preoccupati dalla svolta favorevole a un rialzo dei tassi di interesse?
R. Nell’ultima conferenza stampa ho anche dichiarato che i tassi d’interesse attuali sono adeguati. In ogni caso, il solido ancoraggio delle aspettative di inflazione è indubbiamente nell’interesse di tutti i Paesi dell’Eurozona, perché i tassi sul medio e lungo termine incorporano le aspettative di inflazione futura.
D. Nel 2008, in presenza di indicatori di effetti inflazionistici di seconda battuta, avete alzato i tassi. Oggi stanno cominciando a palesarsi indicatori simili in Germania o altrove?
R. Allo stato attuale, non stiamo riscontrando niente di simile. Tutti sanno comunque che non permetteremmo mai la loro materializzazione. Continueremo a garantire la stabilità dei prezzi.
D. È possibile che la Bce aumenti i tassi, ma mantenga in essere misure straordinarie, come la concessione di crediti illimitati alle banche?
R. Sin dall’inizio della crisi è stata nostra dottrina tenere separati i tassi di interessi, da una parte, e le misure non standard dall’altra. Decidiamo i tassi in modo da garantire la stabilità dei prezzi sul medio termine, mentre le misure straordinarie hanno lo scopo di ripristinare una trasmissione più efficiente delle politiche monetarie. Teniamo le due misure separate. Possiamo modificare i tassi di interesse e le misure straordinarie indipendentemente le une dalle altre.
D. Gli Stati di Eurolandia stanno lavorando a misure di ampio respiro per affrontare la crisi del debito. Quali misure dovrebbero adottare?
R. Queste decisioni sono di responsabilità dei governi. Abbiamo comunque un messaggio molto forte da dare: è indispensabile compiere un salto da gigante per rafforzare la governance delle politiche economiche e fiscali.
D. L’anno scorso, quando parlò di un salto da gigante, lei faceva riferimento alle sanzioni semiautomatiche contro i deficit pubblici eccessivi. Finora i governi hanno fatto orecchie da mercante. Pensa di poter ancora fare adottare il suo punto di vista?
R. Vi sono diversi elementi importanti: l’inasprimento delle sanzioni e il rafforzamento della diagnosi indipendente che verrebbe svolta dalla Commissione europea. È una serie di salti da gigante, ivi compresa la semiautomaticità delle procedure correttive e di altre sanzioni, a nostro parere estremamente importanti. La governance è attualmente oggetto di un esame da parte del Consiglio europeo e dell’Europarlamento. Quest’ultimo in passato si è dimostrato sorprendentemente capace di cogliere ciò che era essenziale per l’Europa. Pertanto, il suo coinvolgimento è molto importante.
D. Lei ha richiesto la massima flessibilità per il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf). Si sta dibattendo se l’Efsf debba rilevare in toto o in parte dalla Bce il programma di acquisto di obbligazioni. Se ciò dovesse accadere, per lei sarebbe un sollievo?
R. Come ho detto, è necessario migliorare la stabilità del Fondo, sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo. Quando dico dal punto di vista qualitativo, intendo dire che lo strumento deve essere il più flessibile possibile.
D. Lei ha detto che gli acquisti di obbligazioni hanno lo scopo di garantire la trasmissione delle politiche monetarie. L’acquisto di obbligazioni da parte dell’Efsf non comporta forse un trasferimento della funzione monetaria dalla Bce?
R. Come tutte le misure inconsuete, l’acquisto di titoli obbligazionari ha lo scopo di contribuire a ripristinare un meccanismo migliore per la trasmissione delle nostre politiche monetarie. Chiaramente, se in generale i mercati funzionano meglio, i problemi di trasmissione delle politiche monetarie diminuiscono. In ogni caso, lo strumento principale per migliorare la situazione consiste nel ripristinare la credibilità dei singoli governi.
D. I singoli Paesi potranno prendere in prestito denaro dall’Efsf per ricapitalizzare le banche, senza dover richiedere un intervento di salvataggio completo?
R. Una simile decisione è responsabilità dei governi. Noi chiediamo di dimostrare piena responsabilità in materia di stabilità economica e finanziaria, compiendo un salto da gigante in materia di governance economica nell’Eurozona, un salto da gigante in materia di condizionalità e maggiore flessibilità nell’utilizzo del meccanismo.
D. Da più parti è sentita l’urgenza di migliorare l’Efsf. I governi sembrano aver rimandato ogni modifica al mese di marzo, nella migliore delle ipotesi. Ritiene che questa urgenza sia sufficientemente sentita dai capi di governo?
R. Dall’inizio della crisi, ho detto che tutti noi dovevamo dar prova di un forte senso della direzione, di un senso della responsabilità e della consapevolezza di dover giocare d’anticipo, non di rimessa. Confermo quanto ho detto.
D. C’è il rischio che queste tensioni possano provocare la rottura dell’Eurozona?
R. Naturalmente l’euro è una realtà del presente e sarà anche una realtà del futuro. Non rilascio commenti su ciò che considero ipotesi assurde. Sin dalla nascita dell’euro mi hanno fatto domande simili e ci sono abituato. Paradossalmente, anni fa ci si interrogava sulla Germania, all’epoca ritenuta la malata d’Europa. Io rispondevo che la Germania stava lavorando sodo e che la sua economia stava recuperando competitività. Ora chi deve lavorare sodo sono le economie che negli anni passati hanno registrato una rapida crescita, ma parallelamente hanno perso competitività. Occorre accettare il fatto che, all’interno di un’economia ampia come quella rappresentata dall’Eurozona, che conta 331 milioni di abitanti, vi siano differenze economiche. Per esempio, quando guardo entrambe le sponde dell’Atlantico, vedo che la differenza tra gli Stati Usa a crescita più rapida e quelli a crescita più lenta è più o meno la stessa, in termini dimensionali, di quella registrata nell’Eurozona. Per esempio, tra Oklahoma e Nevada la differenza in termini di crescita è stata pari al 13% nel 2009, mentre tra Slovacchia e Irlanda è stata del 9% nel 2008.
D. Gli Stati Uniti risolvono queste differenze con la mobilità della forza lavoro e con un bilancio federale. Sarà necessario adottare un bilancio federale anche per Eurolandia?
R. Il balzo in avanti che stiamo chiedendo in termini di controllo sulle politiche fiscali dovrà essere l’equivalente, all’interno del nostro quadro istituzionale, di quello che farebbe una federazione. Non bisogna poi sopravvalutare la mobilità della forza lavoro negli Stati Uniti e sottovalutarla in Europa. Se si considera lo Stato Usa con il tasso di disoccupazione più elevato e quello con il tasso più basso, i valori si discostano di poco da quelli rilevabili nell’Eurozona. Per esempio, nel 2009, il tasso di disoccupazione era al 18% in Spagna e al 3,7% nei Paesi Bassi, mentre stava al 13,6% in Michigan e al 4,3% nel Nord Dakota.
D. Gli investitori istituzionali di bond bancari dovrebbero essere costretti ad accettare tagli, nell’eventualità di un intervento di salvataggio, come ha proposto la Commissione Europea?
R. Questa idea non è di livello europeo, ma di livello globale, ed è oggetto di dibattito, specialmente nel Comitato per la stabilità finanziaria e nel Comitato di Basilea. È particolarmente importante per le cosiddette istituzioni finanziarie sistemiche. È necessaria un’analisi molto attenta delle diverse opzioni disponibili: riserve di capitale aggiuntive, capitale contingente, salvataggio di strumenti finanziari. I lavori sono ancora in corso. In ogni modo, non penso che in Europa si possa avere una soluzione diversa da quella di altre economie avanzate.
D. Che cosa si può fare per migliorare il potenziale di crescita dell’Eurozona?
R. Il potenziale di crescita dell’Europa e dell’Eurozona potrebbe essere molto più alto se tutti i Paesi avessero attuato le riforme strutturali della Strategia di Lisbona. Tra le diverse opzioni, due mi paiono particolarmente decisive. Io insisterei sull’apertura completa di un vero mercato unico dei servizi. Quando il mercato unico venne creato, l’economia era prevalentemente un’economia industriale e i servizi non svolgevano un ruolo particolarmente rilevante. Oggi siamo un’economia avanzata dove i servizi svolgono un ruolo predominante. Eppure incontriamo ancora resistenze alla creazione di un mercato unico dei servizi. Questo potrebbe imprimere una notevole spinta al potenziale di crescita europeo. La seconda opzione riguarda la riforma del mercato del lavoro, dove è necessaria una flessibilità molto maggiore nelle economie di molti Paesi.
D. Questo sarà il suo ultimo anno come presidente della Bce. È importante che la scelta del suo successore da parte dei vari governi si svolga senza problemi?
R. Da qui alla fine di ottobre mi aspettano mesi di intenso lavoro e, con i miei colleghi, intendo adempiere alle mie grandi, profonde e significative responsabilità fino all’ultimo giorno. Per quanto riguarda il mio successore, ho piena fiducia nei capi di Stato e di governo. La responsabilità è la loro.
D. La Federal Reserve sta attuando un maggiore allentamento quantitativo, mentre la Bce lancia avvertimenti sui rischi di inflazione. Le politiche della Fed e della Bce non sono divergenti? E questa situazione non mette a rischio la stabilità finanziaria globale?
R. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, ognuno di noi ha responsabilità molto importanti. Siamo due economie diverse, specialmente per quanto riguarda il finanziamento dell’economia e la natura degli shock che dobbiamo affrontare. Ci accomuna tuttavia un obiettivo: garantire la stabilità dei prezzi nel medio termine e ancorare fermamente le aspettative di inflazione.