Gilberto Oneto, Libero 26/1/2011, 26 gennaio 2011
L’UNIFICAZIONE DELL’ITALIA COL MARCHIO “MADE IN USA”
L’intera vicenda risorgimentale è anche l’esito di interventi e contrapposizioni di Stati stranieri: soprattutto dello scontro di interessi fra Francia e Austria e delle mire imperialistiche inglesi. Meno evidente, ma per questo non meno significativo è il ruolo degli Stati Uniti.
La presenza americana è stata inizialmente economica. Dopo le guerre napoleoniche, si intensifica lo sforzo di penetrazione commerciale nel Mediterraneo alla ricerca di nuovi mercati. Tutta l’attività diplomatica della giovane Repubblica si dedica con efficienza a questo obiettivo; nel 1847 John Martin Baker e, dieci anni dopo, John Smith Homans compilano e pubblicano dei dettagliatissimi resoconti sulle potenzialità dei mercati mediterranei, sulle produzioni locali e sulle caratteristiche dei porti di attracco. Gli Stati Uniti intraprendono trattative con il governo sardo (con cui è firmato un fruttuoso trattato nel 1838) e con quello napoletano ma con minore fortuna.
La vera occasione per intrufolarsi nel mercato italiano (considerato il più promettente dell’area) e di bypassare la presenza britannica, che conquista spazi sempre crescenti, arriva con gli avvenimenti del 1848. Manifestando apertamente le loro simpatie per la rivoluzione liberale, gli americani sperano di ottenere il favore dei nuovi governi e spuntare condizioni vantaggiose. In questa loro spregiudicata politica hanno contro gli inglesi e naturalmente gli austriaci. Così, mentre gli inglesi favoriscono il ritorno di Pio IX a Roma, gli americani appoggiano la Repubblica e accusano apertamente i britannici di volersi annettere la Sicilia. Le navi da guerra americane Allegheny e Princeton trasportano a Civitavecchia gli insorti genovesi nell’aprile del 1849 quando Lamarmora occupa la città. Alla caduta di Roma, coprono la fuga di Mazzini concedendogli un passaporto americano, e assicurano la protezione dei profughi fuggiti a Genova a bordo de Il Lombardo dai tentativi del governo sabaudo di internare i più compromessi. Sono le navi americane Taney e Princeton a violare il blocco navale austriaco di Venezia, portando armi e viveri alla città assediata. Alle proteste austriache, l’ambasciatore americano a Venezia, William Stiles (gli Stati Uniti sono fra i pochissimi a riconoscere l’indipendenza della Repubblica), risponde con durezza, e solo la fine della guerra impedisce attriti peggiori. L’interventismo americano trova una sorta di ufficializzazione da parte del governo sardo, che cerca coperture nel suo scontro con l’Austria.
Sbarco a La Spezia
Interpretando con grande elasticità la dottrina Monroe di non ingerenza, l’ambasciatore Nathaniel Niles propone l’intervento del Mediterranean Squadron del commodoro George C. Read, che arriva a Genova nel marzo del 1848, e ottiene l’uso gratuito della rada della Spezia e lo stabilimento di un deposito navale per tre anni. Alla Spezia Napoleone I aveva cominciato nel 1811 la costruzione di una grande base navale in sostituzione di Genova, diventata insufficiente: nel cantiere nel frattempo abbandonato si installa invece la
prima base militare americana in Europa. Solo nel 1857 Cavour, riprendendo l’idea di Napoleone, riesce a farsi approvare dal Parlamento il potenziamento della Spezia, “sfratta” gli americani e concede loro in cambio la baia di Panicaglia, appena più a sud, dopo il borgo di Fezzano. Nel frattempo la politica liberista di Cavour piace oltre oceano e dà buoni frutti: l’esportazione americana in Piemonte cresce dai 300.000 dollari del 1851 fino ai 3 milioni del 1859. A Washington si convincono che l’unificazione della Penisola possa portare vantaggi anche superiori. A sostenere la causa unitaria sono le lobbies dei produttori, dei ferrovieri e dei banchieri, la massoneria e la “Young America”, una potente associazione di stile mazziniano vicina al Partito Democratico, che contribuisce nel 1852 alla vittoria del presidente Franklin Pierce, il quale nomina per gratitudine molti suoi esponenti ambasciatori nei Paesi europei.
Cospicuo è l’aiuto americano in termini di denaro, materiale bellico e
anche di qualche volontario nella Legione britannica. La Massoneria americana raccoglie notevoli fondi: la sola città di New York contribuisce alla causa garibaldina con armi, provviste e denaro per circa centomila dollari. Colt omaggia Garibaldi di un carico delle sue famose pistole e carabine. Dalla base di Panicaglia parte il vascello Iroquois, che a Palermo rifornisce le camicie rosse di armi e munizioni. È lo stesso Cavour ad affermare che «nessuno dei bastimenti partiti ultimamente per la Sicilia batte bandiera sarda», dato che «la maggior parte di essi sono sotto vessillo americano». Bandiera e nomi americani hanno infatti le navi Washington, Oregon, Franklin, Charles & Jane Bahl che fanno la spola fra Genova e la Sicilia per rifornire i garibaldini. È grazie alla bandiera americana che sventola sulle navi che si riesce a forzare facilmente il blocco napoletano dello stretto di Messina. È sul piroscafo Washington che Garibaldi lascia Napoli per Caprera.
La fine del supporto
A indebolire la posizione americana viene lo scoppio della guerra di Secessione che svuota Panicaglia di navi e di uomini e costringe il governo di Washington a disinteressarsi delle vicende straniere. Il caso torna di attualità nel 1865: i lavori per la costruzione della base italiana procedono e gli americani devono trovare una nuova sistemazione. Chiedono di potersi trasferire lì vicino, al Lazzaretto di Vignano, sempre all’interno del golfo. Il governo italiano propone loro le alternative di Cagliari, dell’isola sarda di San Pietro o della base di Siracusa, “ereditata” dai Borbone. Le trattative non vanno a buon fine e nel febbraio del 1868 lascia Panigaglia l’ultima nave americana, la fregata Franklin dell’ammiraglio David G. Ferragut. In realtà la cosa non è più di grande interesse per nessuno: gli americani non hanno più bisogno di basi militari per difendere i propri commerci e si sono accordati con gli inglesi per la spartizione dei mercati, e l’Italia unita non ha più bisogno di loro come protettori.