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 2011  gennaio 26 Mercoledì calendario

IL PRIMO TRENO NON SI SCORDA MAI. AL MUSEO INSIEME A GARIBALDI

«La prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici, fu inaugurata il 3 ottobre 1839 dal re Ferdinando II di Borbone». Una frase, un rigo appena sui manuali di storia delle medie. Poche pagine più in là - poco più di vent´anni dopo - il Regno delle Due Sicilie cadeva, abbattuto dai Mille e dai piemontesi di Vittorio Emanuele II e Cavour. Beffa della storia, Garibaldi entrò vittorioso a Napoli in treno, viaggiando proprio su quella linea, il 7 settembre 1860.
Quella ferrovia corre ancora a pochi metri dal mare, in quella striscia di terra a est di Napoli, stretta tra il Vesuvio e la costa, che è l´agglomerato urbano più densamente popolato d´Europa. Oggi la usano soprattutto i pendolari. Lungo il percorso, accanto alla stazione di Pietrarsa-San Giorgio a Cremano, c´è il Museo nazionale delle Ferrovie dello Stato. Inaugurato nel 1989, completamente rinnovato tre anni fa, occupa una vastissima spianata affacciata direttamente sul Golfo: trentaseimila metri quadrati totali, di cui quattordicimila coperti. Ospita decine di locomotive, carrozze, vagoni, strumenti di lavoro, e qualunque altra cosa possa appassionare chi ha mai giocato con i trenini. Ed è anche, in qualche misura, un luogo simbolo dell´Italia che è stata, e di quella che avrebbe potuto essere.
Ai tempi dell´Unità il Reale Opificio Meccanico di Pietrarsa, fondato da Ferdinando per la costruzione e la riparazione delle locomotive, era il più grande complesso industriale d´Italia. Nel 1853 occupava seicentodiciannove operai, duecento soldati artificieri e quaranta galeotti per i lavori pesanti. Ma i governi postunitari prima provarono a cederlo ai privati, poi lo ridimensionarono.
Nel 1863 una rivolta di operai venne repressa nel sangue dai bersaglieri. Lo stabilimento continuò a funzionare fino alla dismissione delle ultime locomotive a vapore, negli anni Settanta, ma la sua storia sembra fatta apposta per alimentare le recriminazioni di quanti, a Sud, non hanno troppa voglia di celebrare l´anniversario dell´Unità.
Oggi la collezione del Museo è esposta nei giganteschi padiglioni di questo inaspettato tempio dell´archeologia industriale meridionale (il più antico, «la Cattedrale», ha gli archi a sesto acuto, neogotici, come la basilica di Santa Chiara). Si passeggia tra le locomotive in fila ritrovando un po´ dello stupore dei nostri antenati alla vista dei primi cavalli d´acciaio. Si va dalla riproduzione esatta, basata sui progetti dell´epoca, della Bayard, che percorse la Napoli-Portici trainando il convoglio del re, alla celebre littorina fascista; dalla vecchia carrozza postale a quella per il trasporto detenuti, al treno reale dei Savoia, con le pareti damascate e il soffitto coperto d´oro zecchino. E poi tante curiosità, come i primi esperimenti di biglietteria self-service con leve e pulsanti meccanici e rotelle da girare per indicare le stazioni di partenza e arrivo; gli arredi di una vecchia sala d´aspetto di lusso, con tavolo e sedie foderate di velluto, fino all´enorme, commovente plastico fatto a mano in quindici anni di lavoro da un ferroviere in pensione.
Defilato rispetto ai consueti percorsi turistici, ancora poco conosciuto, il museo fa circa sedicimila visitatori annui, di cui più o meno la metà studenti in gita (gli equivalenti in Inghilterra e in Francia staccano tra i duecento e i quattrocentomila biglietti l´anno).
Non lo aiuta l´orario d´apertura (dalle 8,30 alle 13,30 nei giorni feriali, più visite guidate nei weekend su prenotazione per gruppi di almeno trenta persone). Potrebbe però favorirlo una posizione sorprendente.
In fondo al piazzale, la grande statua in ghisa di re Ferdinando, fusa dagli operai delle officine nel 1852, si staglia contro un panorama di vecchie fabbriche e spiagge mangiate dal mare. Ma basta allungare un po´ lo sguardo, e la luce abbagliante e l´azzurro del Golfo sono quelli di sempre.