Luca Lippera, Il Messaggero 26/1/2011, 26 gennaio 2011
CUCCHI, CONDANNATO DIRIGENTE DEL DAP MEDICI, INFERMIERI E GUARDIE A GIUDIZIO
I veri responsabili della morte di Stefano Cucchi quanti e quali lo stabilirà il processo vanno cercati tra i medici e gli infermieri del reparto carcerario dell’ospedale “Sandro Pertini”. Lo ha detto ieri in modo indiretto ma assolutamente cristallino il magistrato che ha rinviato a giudizio dodici persone per la fine del trentenne deceduto nell’ottobre del 2009 dopo un arresto per droga. Il giudice, contrariamente a quanto chiedeva con veemenza la famiglia della vittima, ha avuto il coraggio di non cambiare l’imputazione (lesioni, ndr) contro le guardie carcerarie coinvolte nell’inchiesta, segno che i presunti maltrattamenti a Cucchi non vengono ritenuti la causa ultima della tragedia. È rimasta invece intatta, come voleva la Procura, l’accusa contro i sanitari abbandono di incapace un reato che evoca l’infamia per chi un giorno scelse l’arte di Ippocrate, padre e simbolo di ogni dottore.
Ma la decisione di Rosalba Liso, il giudice dell’udienza preliminare (Gup), tipo granitico nonostante la flemma, dice che comunque qualcosa di torbido accadde nell’autunno di due anni fa. Oltre ad aver stabilito i rinvii a giudizio, il Gup ha infatti condannato a due anni Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio detenuti (unico ad aver chiesto il rito abbreviato), il funzionario che secondo l’accusa brigò per far ricoverare Cucchi al “Pertini” alla svelta e senza tanto sottilizzare per sottrarlo a sguardi potenzialmente “indiscreti”. Il ragionamento del giudice Liso, in attesa delle motivazioni, sembra chiaro. È probabile che il detenuto ricevette un ceffone a un occhio e un calcio all’osso sacro. È certo, secondo le perizie, che non furono questi colpi a provocarne la morte. Ma non si poteva non punire il comportamento di chi, in primis Marchiandi stando alla sentenza, cercò di “insabbiare” tutto ficcando la vittima nella stanzetta di un reparto carcerario.
Il processo, che dovrebbe iniziare a fine marzo, dirà il resto. I giudici, se le prove reggeranno, avranno il compito di distribuire colpe e pene in una vicenda che ha scosso il Paese ed è immancabilmente divenuta anche un caso politico. I medici rinviati a giudizio (le accuse variano a seconda delle posizioni: falso ideologico, omissione di referto, abbandono di incapace) sono sei: Aldo Fierro, primario del reparto carcerario del “Pertini”, e i colleghi Silvia Di Carlo, Bruno Flaminia, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti e Stefania Corbi. Gli infermieri imputati sono tre, Giuseppe Pluato, Elvira Martelli e Domenico Pepe, come tre sono pure gli agenti della Polizia Penitenziaria: Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.
Questi ultimi, stando all’ufficio del pubblico ministero, guidato da Vincenzo Barba e Francesca Loy, avrebbero malmenato Cucchi mentre cercavano di farlo entrare in una delle celle di sicurezza del Tribunale a piazzale Clodio. Ma la posizione delle guardie carcerarie, se il processo confermerà l’assenza di un nesso tra le lesioni, giudicate “minime” dai periti, e la morte di Cucchi, è diventata di fatto la più leggera. Il Gup al contrario fa capire, attraverso le “bordate” contenute nella sentenza di rinvio a giudizio, che la dimostrazione dell’innocenza dei medici e degli infermieri ha tutta l’aria di un mission quasi impossible.
I sanitari, scrive il giudice, «omettevano di adottare qualunque presidio terapeutico» pur essendo «la glicemia del detenuto al di sotto della soglia ritenuta pericolosa per la vita». Essi, insiste, non avrebbero «né svolto un elettrocardiogramma né una semplice palpazione del polso per tenere sotto controllo la bradicardia» della vittima. Cucchi, minato dalla magrezza, segnato da vent’anni di tossicodipendenza, aveva il polso bassissimo e probabilmente non a caso morì all’alba quando la pressione sanguigna è più bassa.
Bisognava fare qualcosa, magari ricordarsi distrattamente di Ippocrate, ma non fu fatto. Cucchi Stefano da Tor Pignattara fu lasciato in un letto al suo destino. Il Gup, impietosamente, aggiunge: «... essi (i sanitari) neppure comunicarono al paziente l’assoluta necessità di effettuare esami essenziali alla tutela della vita, limitandosi ad annotare i suoi asseriti rifiuti di sottoporvisi...». «... non trasferirono Cucchi è l’ultima conclusione in un reparto più idoneo a curarlo». La Parte Civile, cioè la famiglia della vittima, chiedeva una nuova perizia sempre convinta del legame tra il “pestaggio” e il decesso. Il giudice non l’ha ritenuta opportuna. «Pur non potendosi ignorare contrasti tra le conclusioni dei vari consulenti scrive la Liso essi potranno essere risolti al dibattimento». Perché la verità, sembra dire il Gup, è già lì a portata di mano.