Dino Messina, Corriere della Sera 27/01/2011, 27 gennaio 2011
MONTANELLI IN CAMPO PER VENEZIA
Indro Montanelli il suo Sessantotto lo fece in Laguna. E questa non è una facile battuta per la banale coincidenza tra l’inchiesta uscita sul «Corriere della Sera» in difesa di Venezia nel novembre 1968 con l’anno della contestazione. Ma l’invito a una riflessione sul talento di un giornalista impegnato in una campagna civile lanciando temi che sarebbero diventati il nostro pane quotidiano: l’ambientalismo, la salvaguardia del patrimonio artistico, la sostenibilità dello sviluppo industriale. Il giornalismo militante, insomma, di un conservatore (tale si è sempre dichiarato) che non esitava ad attaccare i potentati industriali e a sostenere una causa scomoda per quei tempi. Una causa giusta, la salvaguardia di Venezia, che Montanelli difese anche in una memorabile inchiesta televisiva, con la regia di Giorgio Ponti, trasmessa dalla Rai un anno dopo, il 12 novembre 1969, che provocò manifestazioni, polemiche, querele e che confermò la prima firma del «Corriere» quale volto del piccolo schermo. Questi due cammei nella lunga carriera di Montanelli, il giornalista nato a Fucecchio il 22 aprile 1909 e morto a Milano il 22 luglio 2001, quasi dieci anni fa, si possono ora leggere, vedere e mettere a confronto grazie all’iniziativa della Marsilio, che nella collana Gli specchi pubblica un cofanetto contenente l’inchiesta del «Corriere» e il documentario trasmesso dalla Rai (Per Venezia, pagine 78 il libro e minuti 45 il dvd, e 19,90). La cura del cofanetto che testimonia un esempio di multimedialità ante litteram è affidata a Nevio Casadio, già autore per RaiSat nel 2008 di un programma in otto puntate sul giornalista di Fucecchio. Casadio firma una lunga prefazione in cui racconta l’intera genesi dell’inchiesta di Montanelli, compresa la scena madre della presentazione al pubblico veneziano del documentario, il 7 dicembre 1969, che trasformò il riottoso Indro in un capopopolo. Il cronista del «Corriere» Sandro Meccoli, incaricato di seguire l’evento al cinema Rossini in quella mattinata autunnale di acqua alta, così sintetizzava: «Dapprima, un’attenzione silenziosa; poi, man mano che la voce di Montanelli illustrava la situazione, applausi sempre più insistenti. Qua e là voci isolate di dissenso, subito zittite dalla maggioranza degli spettatori. Più volte, dalla platea e dalla galleria, si sono levate grida "Perché non parla il sindaco? Dove xelo?"» . Il sindaco Giovanni Favaretto Fisca non c’era, ma erano presenti in sala personaggi come Bruno Visentini, presidente dell’Olivetti che avrebbe condiviso la battaglia di Indro, e soprattutto tantissimi veneziani con i cartelli «No al mare in laguna» , «Basta con l’acqua alta» , «Marghera ci avvelena» , «Venezia=Vajont» . Vicino ai dirigenti di Italia Nostra, Montanelli avrebbe scritto ancora altri articoli oltre a quei quattro usciti il 22, 23, 24 e 26 novembre 1968, avrebbe fronteggiato le querele del sindaco e di altri personaggi locali e contribuito a impostare il lavoro per la salvaguardia di Venezia. Che cosa diceva di rivoluzionario Montanelli in quell’inchiesta per il «Corriere» e in quel documentario televisivo, che Casadio ritiene addirittura più efficace degli articoli? Con la sua icastica capacità di sintesi e il coraggio di andare dritto all’obiettivo, il giornalista individuava nell’abnorme espansione del polo industriale di Marghera e nel tumultuoso sviluppo urbano di Mestre le cause dei mali di Venezia. Il documentario si apriva con l’immagine di Montanelli, con alle spalle il Canal Grande, che spiegava il perché del suo documentario dopo i tanti dedicati alle bellezze della città. L’autore annunciava il cambio di prospettiva: non voleva parlare delle bellezze ma delle «brutture» . E la sequenza successiva riprendeva un tecnico della Procuratoria di San Marco intento ad «auscultare, come un odontoiatra, marmi e pietre» e a rimuovere nella «quotidiana visita ambulatoria» i pezzi che sbriciolandosi rischiavano di cadere sulla testa dei passanti. Causa di questa corruzione, ma anche del deterioramento di alcuni capolavori pittorici anche all’interno dei musei, «l’inquinamento atmosferico, l’anidride e lo zolfo» provenienti dalle ciminiere della vicina Marghera che assieme alla salsedine contribuiva «all’esplosione della materia» . Ma era nell’inchiesta sul «Corriere» che Montanelli aveva potuto spiegare in qual modo l’operosa sapienza della Repubblica veneta, compreso il ciclopico lavoro per deviare il corso di tre fiumi (Brenta, Piave e Sile) avevano garantito per sette secoli il delicato equilibrio della laguna e con esso l’indipendenza della potenza marinara. L’incontrollato sviluppo del polo industriale non solo aveva sollecitato l’eccessiva apertura della bocche dei porti di Lido, Malamocco e Chioggia per consentire il passaggio di navi sempre più grandi, ma aveva condotto al riempimento delle barene, che invece una volta erano lasciate libere per consentire l’attutimento delle maree e del fenomeno dell’acqua alta. Casadio suggerisce che l’inchiesta e il documentario televisivo di Montanelli costituiscano materia di studio nelle scuole di giornalismo.
Dino Messina