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 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

ASSANGE, ECCO LA VERA STORIA: «UN PETER PAN ARROGANTE» —

Mesi di lavoro segreto, i dubbi su cosa pubblicare e cosa no, su come tutto ciò cambierà il mestiere dei giornalisti, le tensioni con gli stessi lettori, molti dei quali contrariati dalle rivelazioni di documenti top secret. E poi i rapporti difficilissimi col governo Usa, i giornalisti convocati al Dipartimento di Stato per confronti off the record con diplomatici, uomini della Casa Bianca, del Pentagono e dei servizi segreti, in stanze senza finestre. Infine le relazioni rocambolesche con Julian Assange, dai primi incontri degli inviati del quotidiano con un personaggio «puzzolente coi vestiti sporchi e stropicciati come un homeless» alla sua trasformazione in una «celebrity» che si comporta da grande seduttore e si descrive come il «grande burattinaio» della stampa. Il caso Wikileaks raccontato dal direttore del giornale più aut o r e v o l e de l mondo, il York Times. Che è anche quello che ha avuto il rapporto più tempestoso con l’ex hacker. Bill Keller aveva sentito il dovere di spiegare ai lettori le sue ragioni e le procedure seguite dal giornale nel selezionare parte dei cablogrammi segreti della diplomazia Usa già a novembre, quando i dossier cominciarono a comparire sulle prime pagine dei giornali. Ora che la polvere delle polemiche si è almeno parzialmente depositata, Keller torna sulla vicenda con un lunghissimo diario-riflessione, un saggio che verrà venduto dal 31 gennaio come libro elettronico, acquistabile online. Un lungo estratto, che verrà pubblicato domenica sul magazine del Times, è stato anticipato già dal sito della testata. È una straordinaria testimonianza dell’eccitazione e del tormento di un grande giornalista davanti a una vicenda che ha posto problemi professionali, etici e politici che non si erano mai presentati prima. Un caso che ha avuto grandi ripercussioni sul mondo della stampa. Un racconto avvincente, quello di Keller, che inizia coi primi contatti con gli inglesi del Guardian, le missioni segrete, i team di giornalisti delle due testate e del tedesco Der Spiegel che fin dalla primavera scorsa lavorano sui «War Logs» i documenti relativi al conflitto in Iraq pubblicanti durante l’estate. C’è anche un incontro a luglio con l’inviato Usa in Afghanistan e Pakistan, Richard Holbrooke (recentemente scomparso) che a una festa in onore di un giornalista, Roger Cohen, avvicina il direttore del Times e gli spiega che le indiscrezioni che il giornale sta per pubblicare renderanno infernale il suo lavoro. Ma gli fa anche capire di comprendere le ragioni del quotidiano. Mesi vissuti sempre sul filo del rasoio, tra l’obbligo di informare i propri lettori senza censure e autocensure e il senso di responsabilità di giornalisti-cittadini che non vogliono danneggiare il loro Paese. E poi il turbolento rapporto con Assange che fin dall’inizio sembra a Keller un torvo Peter Pan imbevuto di teorie cospirative, arrogante, diffidente, ideologicamente motivato dal desiderio di colpire gli Usa. È un rapporto che si rompe quando il New York Times pubblica ritratti della «gola profonda» Manning (ora in carcere) e dello stesso Assange che non piacciono affatto al fondatore di Wikileaks. Assange decide di tagliare fuori il quotidiano di K e l l e r , ma i l Guardian si ribella e la spunta. Il direttore racconta il lavoro fatto per selezionare le notizie e depurarle dei d e t t a g l i che avrebbero potuto mettere in pericolo le persone citate nei cablogrammi e creare danni gravi all’Amministrazione. Con la quale il rapporto è duro ma, riconosce Keller, corretto: «Salvo le battute del senatore Lieberman, nessuno ha mai pensato di incriminare il giornale, di violare la libertà senza limiti garantita dalla Costituzione alla stampa» . Ma Wikileaks ha cambiato per sempre il modo di fare giornalismo investigativo? Keller, per il quale Assange non è un giornalista («somiglia più a un personaggio di un thriller di Stieg Larsson» ), nega anche che esista un «giornalismo scientifico» come quello che il fondatore del sito-pirata pretende di aver creato: «Non è stato il nostro burattinaio, abbiamo lavorato con indipendenza seguendo l’evoluzione di un paradigma gradualmente cambiato negli anni con la diffusione dell’informazione digitale su Internet. Wikileaks ha vissuto sulle informazioni prese da un soldato, non è il trionfo cosmico della trasparenza. Forse in futuro Wikileaks e i suoi imitatori riusciranno a moltiplicare il numero delle persone che procurano informazioni riservate. Ma non credo che arriveremo all’anarchia dell’informazione» . O, almeno, ancora non ci siamo.
M. Ga.