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 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

L’OCCUPAZIONE (E I SALARI) A ORIENTE ORA CRESCONO DI PIU’ —

«Non siamo noi a dover diventare come i cinesi, ma i cinesi a dover diventare come noi» , recitava giorni fa una scritta a Torino contro Sergio Marchionne. Visto da Davos, dove da ieri si ritrovano i grandi manager e investitori del mondo, quella frase andrebbe forse rovesciata. Non sarebbe male per certi europei e italiani, specie i più giovani, diventare un po’ più come i loro coetanei asiatici: in alcuni casi, significherebbe guadagnare di più.
Silenziosamente, il sorpasso dei salari fra Est e Ovest si sta consumando in questi anni di crescita a due velocità, minima fra i «ricchi» e esplosiva per quasi tutti gli altri. Ieri all’apertura del World Economic Forum di Davos per i partecipanti è stato impossibile aggirare l’argomento: «Assistiamo a un passaggio di poteri» , ha detto il capo del gruppo indiano Wipro Azim Premji. «I posti di lavoro si stanno spostando da Occidente a Oriente» , gli ha fatto eco la sua connazionale Kiran Mazumdar-Shaw in un dibattito sui trenta milioni di disoccupati prodotti dalla crisi. Laura Tyson, consigliera economica della Casa Bianca di Barack Obama, ha tentato una difesa d’ufficio: «Fino a cinque anni fa» , ha ricordato, l’occupazione cresceva sia in America ed Europa che in Cina o in India. Per lei è la recessione del 2009 la grande devastatrice del lavoro, non il boom delle nuove economie. Fosse così, il tempo potrebbe chiudere almeno alcune delle ferite aperte.
Eppure la metamorfosi, vista dai corridoi di Davos, corre sempre più in fretta. La concorrenza dell’Asia o dell’America Latina non si gioca più solo e sempre a colpi di ribassi. Nelle mansioni di fabbrica è ancora così, naturalmente. Ma negli uffici di Milano, Roma, Shanghai, San Paolo o Istanbul negli ultimi due anni sta accadendo l’opposto: un’inversione dei fattori che sposta il vantaggio dei bassi costi verso il vecchio mondo. Nel 2010 un giovane laureato al primo anno di contratto in Italia guadagnava in media 995 euro netti, secondo la Fondazione Leone Moressa di Mestre. Un coetaneo assunto come quadro intermedio a China Mobile a Shanghai prendeva invece l’equivalente di mille dollari. Un manager responsabile di un’unità di cinque persone, in Vietnam, viaggia sui 1.200 dollari al mese. E con salari del genere, a Shanghai o a Hanoi, possono conquistare un tenore di vita più alto di quanto si possa fare con mille euro a Milano.
Di questo passo, il sorpasso anche in valori assoluti appare imminente. In alcuni settori, specie nella finanza, è già una realtà maturata dal crash del 2008 in poi: secondo Michal Ron, capo della rete globale di Sace, il salario d’ingresso in una banca o in una compagnia assicurativa è già più elevato oggi in Cina o in Turchia che in Italia. «A Shanghai la paga è di 2.500 euro lordi al mese e spesso i candidati hanno migliori titoli di studio e parlano meglio le lingue straniere» , dice Michal Ron. In Brasile il salario in banca al primo anno è pari a quello medio in Italia, 1.700-1.800 euro lordi. Però dopo dieci anni di carriera, i guadagni a San Paolo risultano doppi rispetto a Milano e semmai allineati a quelli di New York. Molte città d’Europa sono già «low cost» . E per Laura Tyson, l’economista della Casa Bianca, il fenomeno sta arrivando anche all’America: mentre gli emergenti crescono, ha detto ieri Tyson a Davos, «da noi i bassi e medi compensi stanno calando» .
Ieri a Davos contro la recessione del lavoro qualcuno ha pensato alla ricetta di Henry Ford: ridare il denaro nelle mani dei propri dipendenti, in modo da spingerli a comprare nuove auto e innescare così un ciclo virtuoso di domanda e di crescita. Oggi è l’idea di sindacalisti come Philip Jennings, di Uni Global Union. Ma Arianna Huffington, fondatrice del giornale online Huffington Post, per la crisi dell’occupazione in Occidente ha accusato soprattutto i governi: «Parlano molto dell’emergenza occupazione ma non agiscono — ha detto —. Eppure quando hanno voluto aiutare il sistema finanziario, lo hanno saputo fare molto in fretta» .
Difficile dimostrarsi altrettanto rapidi e efficaci in un mondo in cui, ha osservato l’economista Nouriel Roubini, «la Cina cresce del 10%e la disoccupazione americana è quasi del 10%» . Ma il primo ritrovo di Davos dopo il grande panico di Wall Street e nei Paesi dell’euro sembra dominato, più che dal sollievo, dal fattore tempo: corre così in fretta che forse un giorno anche le scritte sui muri di Torino potrebbero cambiare.
Federico Fubini