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 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

DAL PORTIERE AL «BIONDINO». VENT’ANNI DI ACCUSE E MISTERI FINO ALLA PROVA DEL REGGISENO —

Tre ore e mezza di camera di consiglio per mettere un primo punto fermo sull’assassinio di Simonetta Cesaroni, dopo vent’anni e poco più di cinque mesi dal giorno in cui il cadavere della giovane ragioniera è stato rinvenuto negli uffici dell’Associazione degli alberghi della gioventù. Dalla tarda serata di quell’assolato 7 agosto del 1990, giorno semideserto di una Roma già quasi interamente in vacanza e abbandonata anche dai turisti, si sono susseguiti repentini balzi in avanti e altrettanto frettolose marce indietro dell’inchiesta. Un’andatura in alcuni casi fin troppo spavalda, in altri talmente priva di spunti che ha appassionato e— talvolta— sbigottito l’opinione pubblica. Perché il susseguirsi di colpi di scena, di speranze e delusioni, non è stato mai privo di conseguenze per chi è entrato e uscito dalla porta principale dell’indagine. Quella che avrebbe potuto portarlo alla condanna all’ergastolo, che gli ha comunque inferto una ferita indelebile. Il primo a essere fermato— appena tre giorni dopo il delitto — per l’omicidio della ragazza «acqua e sapone» , seconda figlia di un macchinista della metropolitana capitolina e di una casalinga, è stato Pietrino Vanacore, uno dei portieri dello stabile di via Poma, quartiere Prati. Su un paio di pantaloni vengono trovate macchie di sangue che, però, si scoprirà dopo, non appartengono a Simonetta. Il Tribunale del riesame lo scarcera il 30 agosto: venti, lunghissimi e interminabili giorni in carcere in cui il custode urla la sua disperazione, implora, piange, si tormenta. La sua posizione sarà archiviata dal gip il successivo 26 aprile. Otto mesi di incubo. Le indagini, come si dice solitamente con un abusato luogo comune, ripartono da zero. Coinvolgono gli amici di Simonetta, lambiscono sin da allora quello che, per gli investigatori, era stato fino a pochi giorni prima dell’omicidio il fidanzato della ragazza, Raniero Busco. Ma i riflettori su di lui non si accendono mai del tutto, in quel periodo. Nel tritacarne giudiziario finisce invece Federico Valle: siamo a due anni da quel pomeriggio in cui 29 colpi di tagliacarte (mai ritrovato) straziano il corpo della ragazza. Il giovane è nipote dell’architetto Cesare Valle, l’unico inquilino della scala dove si trova l’appartamento dell’omicidio, che è in casa mentre Simonetta viene uccisa: quando la polizia arriva in via Poma, la sera del delitto, Vanacore è nell’abitazione dell’anziano architetto, lo assiste. Federico Valle finisce sotto inchiesta per omicidio, il portiere per favoreggiamento. Ad accusare il primo, un personaggio dal passato ambiguo, sospettato dagli inquirenti di essere legato ai servizi segreti e trafficante di auto, Roland Voeller: racconta di aver saputo dalla madre di Federico Valle che la sera del 7 agosto il ragazzo era tornato sporco di sangue da via Poma. Valle e Vanacore escono di scena nel 1995. La Cassazione conferma la decisione della Corte d’appello di non rinviarli a giudizio: uno «per non aver commesso il fatto» , il portiere «perché il fatto non sussiste» . Da quel momento in poi, la vicenda si trascina a lungo senza che succeda granché. Anzi, l’inchiesta sembra segnare definitivamente il passo, ristagnare come tanti altri omicidi in quel limbo in cui finiscono tutti i casi che non hanno trovato una soluzione rapida in tempi brevi, a ridosso del dramma. A dare la svolta sono, nel settembre 2006, i carabinieri del Ris, che sfruttano le nuove tecniche sul dna: l’ostinazione degli inquirenti a non tralasciare nulla, la determinazione del padre di Simonetta, Claudio Cesaroni, a non mollare nemmeno per un attimo la presa su di loro (morirà il 2 settembre del 2005), hanno fatto sì che un’iniziale, esilissima speranza si trasformasse nel macigno che ha portato alla sbarra e alla condanna Busco. Gli esperti dell’Arma analizzano il corpetto e i calzini indossati dalla vittima: viene rintracciato il dna dell’ex fidanzato il cui nome, nel settembre 2007, viene iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario. Il 3 febbraio 2010 si apre il processo. Ma non manca l’ennesimo, drammatico colpo di scena: Vanacore si toglie la vita a Torricella, vicino Taranto, a poche ore dalla sua deposizione nell’aula-bunker di Rebibbia, lo scorso 9 marzo.
Flavio Haver