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 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

BASTA BONDI A METTERE KO L’ASSE UDC-FLI

Come diceva Francesco Rutelli nella sua versione più credibile, quella impersonata da Corrado Guzzanti nel 2001: «A Berluscò, ricordate degli amici! Ricordate de chi t’ha voluto bbene!». Non hanno il coraggio di ammetterlo, ma la verità è che, dieci anni dopo, di bene gliene vogliono ancora tanto. La scelta di far votare la mozione di sfiducia contro il povero Sandro Bondi non è il riflesso di «una pulsione omicida verso Berlusconi e il governo», come l’ha definita ieri quell’ingrato di Fabrizio Cicchitto. È invece l’ultimo atto della saga infinita del tafazzismo di sinistra, il frutto dell’incapacità antropologica di far passare un mese senza darsi l’ennesima bottigliata sui genitali. Ovviamente spacciandola agli elettori per un attacco devastante al Cavaliere, quando invece il loro arcinemico non attendeva altro. L’entrata tra i ranghi dell’opposizione dei finiani, neofiti dell’antiberlusconismo, ha resto il vizio ancora più evidente.
Il risultato si è visto ieri. Il voto con cui il ministro dei Beni culturali ha mantenuto la poltrona è terminato 314 a 292. Le assenze per malattia di alcuni deputati del Pd e le missioni internazionali di certi centristi pesano sino a un certo punto. Anche al netto di tali mancanze, i contrari alla sfiducia avrebbero avuto la meglio. Un esito favorevole a Bondi era scontato da settimane e mai per un momento è stato in dubbio. L’opposizione, visto come era andata la mozione nei confronti del governo presentata il mese scorso, avrebbe fatto cosa sensata a ritirare l’iniziativa contro il ministro. Infatti quelli dell’Udc, che da vecchi democristiani avevano fiutato aria di batosta, avevano provato quantomeno a far slittare la votazione. Per poi magari chiuderla in un cassetto a tempo indeterminato, seguendo la ricetta democristianissima anch’essa del Conte Zio: «Sopire, troncare». Ma la voglia dei finiani di andare allo scontro con il governo e il desiderio del PdL di mettere a segno una vittoria in un periodo di vacche magre hanno reso la conta inevitabile.
La ciliegina l’hanno messa quegli esponenti della minoranza, tipo l’ex ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri, che hanno dato al voto di ieri il valore di una sfida non al solo Bondi, ma a tutto l’esecutivo: «Caro ministro», ha detto la Melandri in aula rivolta al suo successore, «non c’è alcun fumus persecutionis nei suoi confronti. Al contrario, la scelta della sfiducia è figlia di un giudizio politico sul modestissimo operato del suo governo nella sua collegialità». Appunto.
Così, se il 14 dicembre il governo aveva avuto la fiducia di Montecitorio per tre voti (314 a 311), ieri l’ha avuta per ventidue deputati. Un abisso. Reso possibile anche dal fatto in apparenza paradossale, visto quello che sta accadendo a Berlusconi che, mentre il centrodestra tiene, nei ranghi dell’opposizione abbondano i
demotivati che preferiscono non votare. Tanto da rendere plausibile l’annuncio dato ieri da Massimo Calearo, secondo il quale presto «qualche esponente del Pd entrerà nei Responsabili», il nuovo gruppo di transfughi parlamentari che appoggia il governo.
Di certo la figuraccia rimediata non ha giovato ai nervi
Il dibattito
dell’opposizione. Soprattutto a quelli dei finiani: due di loro, Fabio Granata e Nino Lo Presti, hanno sfiorato la rissa in
aula, con il secondo che ha detto al primo «ti aspetto all’uscita», come è d’uso durante la pausa per la merenda
in certi istituti tecnici di periferia.
Difficile per gli esponenti di Fli, Udc, Pd e Idv, dopo aver preso la seconda batosta in poche sedute parlamentari in mezzo c’è stata la lunga pausa natalizia andare adesso davanti a microfoni e telecamere per dire che la maggioranza è in crisi e che il governo ha i giorni contati. Se Berlusconi aveva bisogno di un rigenerante, della certificazione che la maggioranza resiste agli scandali rosa del premier e di qualcosa che spostasse l’attenzione dei media dalle chiappe di Ruby ad argomenti più favorevoli al governo, ieri finiani e Pd gli hanno servito tutto questo su un piatto d’argento. È la prima buona notizia che arriva al Cavaliere da non si sa quanto tempo: un «grazie» da parte sua non ci sarebbe stato male.
Post scriptum. Certo, poi magari Bondi domani si dimette da ministro, perché è noto che non ne può più dell’incarico. Ma vuoi mettere la soddisfazione di farlo liberamente invece che esservi costretto da Granata?

::: LA SCHEDA
IL VOTO SU BONDI
Ieri si è tenuta alla Camera la votazione sulla doppia mozione di sfiducia per il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi. Il ministro ha vinto con 314 voti contrari, 292 voti favorevoli e 2 astensioni.
CROLLO A POMPEI
Il 6 novembre scorso crolla la “domus dei gladiatori” di Pompei. È solo il primo incidente: pochi giorni dopo a venire giù è il muro di cinta della “casa del moralista”. Le ragioni dell’accaduto sarebbero riconducibili allo stato di degrado in cui versa il sito archeologico. È questa la molla che ha fatto scattare la mozione di sfiducia per il ministro Bondi sottoscritta daPdeIdv.
TAGLI ALLA CULTURA
La seconda mozione di sfiducia per Bondi arriva dai centristi. Il ministro non sarebbe stato in grado di difendere adeguatamente patrimonio artistico e culturale italiano dai tagli comandati dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Bondi, cioè, non avrebbe «fatto valere la propria iniziativa presso il presidente del Consiglio». Poi, i centristi hanno proposto un compromesso: il ritiro della mozione in cambio dell’avallo ad una proposta formulata in cinque punti. Possibilità, questa, rifiutata da Bondi: «In un paese normale tutto ciò si discuterebbe senza far pendere sugli avversari politici il ricatto e l’intimidazione di una mozione di sfiducia individuale, condizionata all’accettazione delle proposte del terzo polo».