Armando Torno, Corriere della Sera 26/01/2011, 26 gennaio 2011
FERMARSI (ANCHE) SUL WEB, L’ARTE DI SAPERSI ANNOIARE
L’ozio padre dei vizi? È una battuta che ebbe una certa fortuna nell’Ottocento ma ormai ha perso valore, anzi si può ritenere completamente falsa. La noia è fastidiosa? Non sempre e non necessariamente, tanto che dal dibattito attuale ha ottenuto numerose rivalutazioni. C’è anche un taedium buono, come il colesterolo. Saper oziare, annoiarsi, mettere un giusto distacco tra noi e il lavoro o la frenesia del fare significa— anche e soprattutto— ricaricare lo spirito. Non a caso il De otio, l’ottavo libro dei Dialoghi di Lucio Anneo Seneca, esalta il ritiro dagli affari pubblici; non incidentalmente Paul Lafargue (1842-1911), genero di Marx, pubblicò nel 1887 Il diritto all’ozio, in cui si possono leggere passi che non hanno perso quel sapore controcorrente che resta il sale delle rivoluzioni: «È follia l’amore per il lavoro, la passione esiziale del lavoro, spinta fino all’esaurimento delle forze vitali dell’individuo e della sua progenie. Anziché reagire contro questa aberrazione mentale, i preti, gli economisti e i moralisti hanno proclamato il lavoro sacrosanto» . E anche oggi, allorché il nostro tempo è sempre più tormentato dallo stress da web, spunta l’ozio online. Dove? Come? L’inventore di questo riposo da computer è l’inglese Alex Tew, oggi a capo della società PopJam, che ha ideato un rimedio dal nome Do Nothing For 2 Minutes. In che cosa cosiste? È molto semplice: chi entra in questo sito si trova davanti un tramonto delizioso e sente come sottofondo le onde del mare, mentre al centro dello schermo appare un conteggio alla rovescia della durata di due minuti e una scritta invita a rilassarsi e a non toccare nulla del dispositivo tecnologico con il quale si sta operando. Via le mani dalla tastiera, dal mouse, dallo scroll. Se nel lasso di tempo concesso non si resiste e si interviene anche lievemente, allora appare la scritta «fail» , «prova fallita» . Per superare l’esame d’ozio si deve ricominciare da capo e perdersi di nuovo in se stessi per due minuti interi. Quello spazio zen ricavato lottando contro le navigazioni senza requie chiede rispetto. — che dire? Innanzitutto bisogna ammetterlo: è un’idea semplice ma degna della massima attenzione, giacché consente a chi sta dedicando la vita al computer di ricordarsi che ci sono al di là dello schermo i tramonti, le onde, forse la bellezza che mai abbiamo incontrato, il mondo. La realtà non è virtuale. E poi ci siamo noi, che man mano aumentano i ritmi di vita necessitiamo di riflessioni più attente, sentiamo il bisogno di escogitare sistemi per ricaricare lo spirito o di riprendere una confidenza con la meditazione (che nella società della dittatura telematica è sostanzialmente ridotta ai minimi termini). Eppure, senza l’interiorità che nasce dalla riconquista del proprio tempo, l’uomo si smarrisce o, come si diceva sino a qualche decennio fa, si aliena. «Nell’ozio, nei sogni, la verità sommersa viene qualche volta a galla» , ha scritto Virginia Wolf in Una stanza tutta per sé. L’idea che sta dietro Do Nothing For 2 Minutes è anche un campanello d’allarme in una società nella quale — come ha rilevato il sociologo Domenico De Masi— la creat i v i t à predomina sulla manualità, i confini tra attività, studio e gioco si confondono e con sempre maggiore frequenza si lavora senza accorgersi di farlo. Il nostro è un mondo dove sempre più libertà è messa in vendita. Staccare significa ritrovare quello che siamo, vale a dire noi stessi. O, se si vuole, oziare vuole dire difendersi dalla nuova aggressività che si nasconde con demoniaca insistenza negli impegni telematici. Del resto, da Sant’Agostino a Petrarca sino ai teorici della riduzione dell’orario di lavoro — in questo periodo di crisi non particolarmente in auge — ci ricordano che nel tempo lontano dagli impegni troviamo le cose essenziali della vita: l’amore, il bello, l’armonia, la preghiera, buona parte delle intuizioni che recano bene all’uomo.
Armando Torno