Mario Sensini, Corriere della Sera 26/01/2011, 26 gennaio 2011
MILLEPROROGHE, EMENDAMENTI A QUOTA 1.800 —
La carica degli emendamenti è arrivata a quota 1.800 per il decreto mille-proroghe in discussione alla Commissione Affari Costituzionali. Da Pompei alle banche, l’esame delle possibili revisioni comincia oggi pomeriggio. Mentre sul fronte dei conti pubblici il dibattito si è aperto sul tema della cosiddetta «patrimoniale» . Ma soprattutto sulla questione della riduzione del debito pubblico. Lo ha sollecitato la destra, con il finiano Benedetto Dalla Vedova. Lo hanno chiesto, da sinistra, prima Giuliano Amato e poi Walter Veltroni, pochi giorni fa a Torino. Per non parlare dell’Udc Pier Ferdinando Casini, per il quale il piano straordinario per l’abbattimento del debito è diventato, negli ultimi mesi, un chiodo fisso. Lo è stato, per lungo tempo, anche per Giulio Tremonti. Anche se alla realizzabilità del piano dettagliato nella "Missione numero sette"del programma elettorale del centrodestra del 2008 il ministro dell’Economia oggi crede un po’ meno. Il fatto è che le condizioni, da due anni a questa parte, sono drasticamente cambiate, anzi peggiorate. Le carte di quel «Piano straordinario di finanza pubblica» sono state scompaginate dalla crisi violenta che s’è abbattuta sull’economia. E se Tremonti due anni fa immaginava di poter valorizzare e poi mettere sul mercato una cospicua parte del patrimonio pubblico, il 40%per un valore di 700 miliardi di euro, oggi la prospettiva si allontana. È vero che il federalismo demaniale va proprio in quella direzione, ma al di fuori di quel processo che sarà comunque lungo, è assai difficile, se non impossibile, trovare gli acquirenti per azioni, aziende, immobili, crediti, diritti di concessione dello Stato. Il problema del debito, dunque, è ancora tutto lì. Solo un po’ più sfumato dalla disponibilità della Ue a considerare nella valutazione di sostenibilità della finanza pubblica anche i debiti privati (come quelli delle banche fallite, che si sono poi scaricati sui governi). Il peso di quei 1.600 miliardi, che solo d’interessi ne costano 80 l’anno, continua però a minacciare l’economia, a soffocare la crescita. Anche per questo, i fautori del piano straordinario per l’abbattimento del debito si sono spinti un po’ oltre. Cominciando a immaginare, più che privatizzazioni e dismissioni, nuove tasse. Anzi, una nuova tassa sui ricchi: la patrimoniale. Gradita a sinistra, richiesta a gran voce dai sindacati, accettata dalle imprese, non più considerata un dogma neanche nel centrodestra, la tassa patrimoniale resta però, per Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, un tabù. «Per noi la proprietà è sacra» continua a ripetere il ministro dell’Economia a chi gli accenna alle varie idee in circolazione. Non è un caso se il primo provvedimento varato dal governo Berlusconi, al primo Consiglio dei ministri della legislatura, fu la cancellazione dell’unica tassa patrimoniale allora esistente, l’Ici sulla prima casa. E non è un caso se, nonostante le pressioni dei sindaci e della sinistra, il governo abbia deciso di non riproporre la tassazione della casa nella riforma federalista che attribuisce ai Comuni l’autonomia fiscale. Sarebbe stato fin troppo semplice rintrodurre l’Ici come facoltà e dare, poi, la colpa ai sindaci. Per Tremonti e Berlusconi, tuttavia, sembra una questione di principio. Anche se la riforma fiscale allo studio prevede di spostare il carico fiscale «dalle persone alle cose» . Non sulla proprietà, spiegano al Tesoro, ma sui consumi.
Mario Sensini