Antonio Ferrari, Corriere della Sera 26/01/2011, 26 gennaio 2011
FEBBRE DIFFICILE DA ABBASSARE REGIONE A RISCHIO
E’una febbre contagiosa, assai difficile da contenere e abbassare, e che colpisce gran parte della sponda sud del Mediterraneo. Tutto è cominciato all’inizio dell’anno in Egitto, e tutto sta tornando al punto d’origine, dopo aver coinvolto Algeria, Tunisia, Albania e Libano. Sicuramente è stata la rivolta tunisina ad aver convinto anche i meno impegnati ad osare, visto che laggiù la reazione del popolo ha provocato la caduta del governo e la fuga del presidente-imperatore Ben Ali. Ma tutto, come s’è detto, era cominciato ad Alessandria d’Egitto, e attorno alle Piramidi si è tornati. Ora assistiamo a qualcosa che pareva inimmaginabile soltanto pochi mesi fa. Decine di migliaia di persone che scendono in piazza senza paura per urlare la loro rabbia nei confronti di un regime che sembra privo del paracadute necessario per proteggersi da un’onda che potrebbe rivelarsi pericolosa. Alcuni già la ritengono fatale, ma forse è eccessivo spingersi verso previsioni avventate. Certo quel che accade in Egitto non è lontanamente paragonabile a quanto è accaduto in Tunisia. Nel piccolo paese che fu di Ben Ali la rivolta (che non si è ancora conclusa) avrà conseguenze importanti ma limitate. Se dovesse sfaldarsi il potere egiziano (c’è davvero da augurarsi che non accada) sarebbe una vera catastrofe sia per il paese, che è il più importante del mondo arabo, sia per l’intera regione. Che si allarga a tutto il Medio oriente. La folla di oltre trentamila persone che ha lanciato la sua sfida nella grande piazza del Museo è un brusco segnale per la stabilità del regime. Mai i contestatori avevano osato tanto. In generale le proteste si accendevano e si spegnevano in zone limitate. Adesso la rabbia colpisce il cuore del potere. «Gamal, di’ a tuo padre che ti odiamo» , è lo slogan-rasoiata della gente che il regime teme di più. Perché Gamal è il figlio del presidente Hosni Mubarak ed è il candidato più accreditato a succedergli nelle elezioni presidenziali di quest’anno. Le voci che si rincorrono non escludono che il delfino in questo momento si trovi lontano dal Cairo, ma si tratta di voci appunto ed è bene evitare speculazioni perché Gamal è spesso all’estero, magari a un vertice internazionale. Non è escluso che vada a Davos. Ma ci sono altri due problemi a rendere ancor più amaro questo inizio d’anno per il presidente Mubarak, che è al timone dell’Egitto da 30 anni: uno riguarda l’uomo che ha incoraggiato la gente a scendere in piazza, Mohammed El Baradei, che ben oltre il ruolo avuto all’agenzia nucleare è riuscito a conquistare grandissima popolarità nel paese. Il secondo problema arriva da Alessandria, la storica città infinitamente più piccola del Cairo dove tutto è cominciato con la strage dei cristiani-copti, la notte di Capodanno, all’uscita dalla chiesa dei due Santi. La strage, sicuramente pianificata da estremisti sunniti legati ad Al Qaeda, aveva un obiettivo: quello di creare un conflitto tra musulmani e copti. Ma il piano non è riuscito, anche se ieri le manifestazioni più dure contro il regime di Mubarak si sono svolte proprio ad Alessandria. Il paradosso è questo. Mentre i fratelli musulmani, al Cairo, parevano defilati, ad Alessandria erano in prima fila. Il perché? Presto detto. Alle precedenti elezioni gli eletti indipendenti legati ai «fratelli» erano ottantotto, alle ultime elezioni zero. Certo, l’instabilità dell’Egitto fa tremare i palestinesi, colpiti dalle rivelazioni sull’Anp, che sperano sempre nell’intervento di Mubarak. E fa tremare il Libano, dove il rischio di guerra civile è altissimo dopo la nomina del neopremier Najib Mikati, sostenuto da Hezbollah. Il leader druso Walid Jumblatt sembra l’immagine della fragilità libanese: dei suoi 11 deputati, 6 hanno votato per Mikati, 5 per lo sconfitto Hariri.
Antonio Ferrari