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 2011  gennaio 25 Martedì calendario

Umarov, l’emiro del Caucaso che si ispira a Osama - La guerra infinita è di nuovo a Mosca. Ha ancora il volto di un kamikaze

Umarov, l’emiro del Caucaso che si ispira a Osama - La guerra infinita è di nuovo a Mosca. Ha ancora il volto di un kamikaze. Riesplode ancora una volta tra una folla di viaggia­tori indifesi. Ma questa volta non colpisce un teatro, un treno o una stazione del metro. Questa volta la strage, messa a segno per la prima volta all’interno di un ae­roporto della capitale russa, si presenta come una sanguinosa e crudele beffa alle forze di sicu­rezza, come l’ennesimo sberlef­fo alle illusioni di chi dava per sconfitto il terrorismo ceceno. A meno di un anno dal duplice at­t­entato alla metropolitana di Mo­sca del 31 marzo 2010 il presiden­te Dmitri Medvedev e il premier Vladimir Putin si ritrovano a fronteggiare lo stesso scenario e, probabilmente, lo stesso man­dante. Tutto fa pensare all’enne­simo colpo dei militanti ceceni, all’ennesima azione ordinata da Doku Umarov l’ultimo, inafferra­bile comandante storico della guerriglia cecena. La storia per­sonale di questo invulnerabile e spietato leader è l’incarnazione di un insurrezione iniziata nel 1994 come rivolta etnico nazio­nalista e trasformatasi in terrori­smo nazional-islamico grazie ai legami con i gruppi della lotta ar­mata qaidista. Nel gennaio 1994, quando chi scrive lo incrocia nei sotterranei di una Grozny distrutta dai bom­bardamenti, Doku Umarov è un comandante senza Dio e senza fede, un giovane ingegnere ribel­le deciso a battersi per l’indipen­d­enza e per vendicare le deporta­zioni di un popolo ceceno accu­sato da Stalin di collaborazioni­smo con il Terzo Reich. Sedici an­ni di guerra spietata trasforma­no quel giovane comandante, in­capace di pregare Allah, nell’ ’emiro’ autoproclamato del co­siddetto stato islamico di Cece­nia, in un fanatico terrorista te­muto e osteggiato persino da molti ex compagni di lotta. A dar­gli man forte sono rimasti in po­chi. Secondo alcune stime l’in­surrezione cecena non conta su più di qualche centinaio di attivi­sti. E una buona parte di costoro avrebbe persino smesso di pren­dere ordini da Umarov per segui­re il suo giovane braccio destro Aslambek Vadalo. L’ ’emiro’ Umarov resta comunque l’incar­nazione perfetta di un’insurre­zione contaminata progressiva­mente dal richiamo terrorista di Al Qaida. Un percorso condiviso da tutti i principali capi militari ceceni, a cominciare da Shamil Basayev, il comandante simbolo ucciso dai russi nel 2006. Eppure nonostante queste contamina­zioni, nonostante la predicazio­ne e i finanziamenti del coman­d­ante saudita Ibn Al Khattab arri­vato in Cecenia nel 1995 alla te­sta di un gruppo di volontari ara­bi e avvelenato dai servizi segreti di russi nel 2002, la rivolta cece­na non diventa mai completa­mente organica ad Al Qaida. Mol­ti ceceni passano per i campi d’addestramento in Afghani­stan e Pakistan, ma il quartier ge­nerale dell’insurrezione conti­nua ad avere come unico nemi­co la nazione russa. A differenza degli altri terroristi islamici i mili­tanti ceceni non colpiscono l’America o le altre nazioni occi­dentali e privilegiano la cattura di ostaggi alla strage indiscrimi­nata. Dalla presa dell’ospedale di Dudennovsk nel 1995 fino al sequestro dell’intero villaggio di Pervomayskoye nel 1996, dalla stragi del 2002 nel teatro mosco­vita di Dubrovka nel 2002 fino a quella del 2004 nella scuola di Be­slan l’obbiettivo del terrorismo ceceno è sempre mettere con le spalle al muro Mosca per costrin­gerla alla trattativa. La strage e il massacro, per quanto ugualmen­te orrendi, sono solo l’epilogo ob­bligato, la punizione per uno ne­mico che non si piega. Anche l’impiego dei kamikaze segue lo­giche diverse, estranee a quelle di Al Qaida. L’attentatore suici­da nell’iconografia stragista ce­cena è quasi sempre una donna figlia, moglie o madre di un cadu­to. E anche il terreno di latitanza è spesso diverso. Se i terroristi arabi braccati puntano verso il Waziristan pakistano i ceceni tro­vano talvolta ospitalità nei villag­gi dell’Anatolia turca, in quelle vecchie roccaforti del nazionali­smo dei lupi grigi toccate oggi dal contagio islamico. Un nazio­nalismo che li considera fratelli in quanto figli un Caucaso culla mitologica e primigenia della Grande Turchia e del suo popo­lo.