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 2011  gennaio 26 Mercoledì calendario

IL RISCATTO DEL MALAUGURIO

Il Pepìn dice che non sa come, ma per lo spavento gli è caduto il cappellino. «Ho capito subito. Hanno portato via il Mike com’era successo a quello del cimitero di Meina».
El’ho detto, mi sa che l’ho anche gridato: “Cuccia!”». Ha 76 anni Giuseppe Buscaglia detto Pepìn. E non c’è mattina che sia diversa, per lui. «Passo a trovare la mia povera moglie, la mia povera mamma, il mio povero fratello». E passa davanti alla tomba di Mike Bongiorno. «Cuccia, come Cuccia!». Povero Pepìn, quando è entrato all’«Arca di Noè», l’unica osteria di Dagnente, la Rita e la Daniela a momenti non gli credevano. «Non c’è più, c’è solo un buco!».

Per la prima volta Pepìn non è andato a trovare la povera moglie. E dopo i funerali di Mike Bongiorno nel settembre 2009, per la seconda volta questa piccola frazione di Arona dominata dalla statua del San Carlone diventa un set di dolore e stupore, di incredulità ripetuta, e quasi sempre in diretta tv. A Pepìn il cappello è caduto alle 10,45 del mattino. Lo porteranno a casa alle sei del pomeriggio, quando è già buio, il vento che vien giù dall’Ossola è gelido e le telecamere sono ancora accese. Attorno, gli specialisti dei carabinieri in tuta bianca stanno cercando tracce di scarpe e gomme di furgone, indizi, conferme.

Il cimitero di Dagnente è in cima alla salita, appena dopo la chiesa di San Giovanni Battista. Bel posto, anche per un cimitero. Sotto c’è il Lago Maggiore, di fronte la Rocca di Angera, il San Carlone è a qualche centinaio di metri e dovrebbe proteggere. Come le due telecamere messe lì, proprio di fronte al cimitero, perchè non si sa mai: peccato non funzionassero. Sarebbero servite a poco, in ogni caso. Chi si è portato via la bara di Mike Bongiorno ha evitato l’ingresso principale. Tutto dal retro, come aveva capito Pepìn. Una scala, martello e scalpello, quattro uomini, un’auto, un furgone. Almeno così ritiene chi indaga.

Dall’«Arca di Noè» hanno chiamato Nicolò, il figlio di Mike che non salta un fine settimana nella villa della madre Daniela. In questi casi, e com’era successo dieci anni fa per il banchiere Enrico Cuccia comincia l’attesa della richiesta di riscatto. E sul piazzale del cimitero sono cominciate le indagini. Da Giuseppe Buscaglia a Idilio Calzavara, 72 anni, becchino da quando ne aveva venti. A Luigi Gioria, il sacrestano. A Giuseppe Guenzi, il bancario in pensione, forse il più utile. Tutti qui, prima di andare in caserma. Con le loro facce che sarebbero piaciute a Piero Chiara, lo scrittore che stava dall’altra parte del lago.

È una giornata di sole e a mezzogiorno, in un sacco di plastica rossa, un carabiniere carica sull’auto i resti di mattoni trovati accanto alla lapide. Idilio sembra disperato, questo cimitero è casa sua e non l’hanno ancora lasciato entrare. «Io l’ho saputo adesso, dal telegiornale. Era tutto in ordine, mai avuto sospetti. Il cancello si chiude automaticamente alle cinque del pomeriggio e si riapre alle otto del mattino». È uno serio, Idilio. «Mi occupo di quattro cimiteri, una media di 200 sepolture all’anno. Io non vado neanche all’osteria, perché quando entro so che tutti si toccherebbero. Proprio a me doveva capitare...».

La tomba della famiglia Zuccoli è in fondo al cimitero, dal piazzale non si vede. Arriva don Mauro Pozzi, la barba bianca, i pantaloni di velluto, la camicia a quadri. «È orribile, è cinismo e decadenza». Anche don Mauro a suo modo aiuta le indagini. «Quest’estate mi hanno rubato le grondaie di rame della chiesa. C’erano le telecamere, ma non funzionavano». Arriva il sindaco di Arona, il leghista Alberto Gusmeroli: «Il comandante dei vigili dice che hanno manomesso l’impianto di registrazione delle telecamere». Vero. Ma è successo da tempo. E poi, sembra sempre più sicuro, tutto è accaduto nel retro. Invisibili comunque.

Ma qualcuno ha visto, il bancario in pensione Giuseppe. «Anche se ho 59 anni, ho una figlia di dieci mesi - comincia a raccontare, la carrozzina parcheggiata accanto -. Di notte si sta sempre mezzi svegli e verso le tre ho sentito il rumore di una macchina. Strano, qui di notte dormono tutti. Ho guardato dalla finestra e ho visto i fari di una macchina, forse una Grande Punto, che si allontanava in fretta». Ecco, le 3,30 della notte. Per i carabinieri potrebbe essere l’ora giusta. Quando, dal retro del cimitero, scavalcato il muro, sarebbero scesi dalla scarpata. C’è una rete che protegge un orto. È bucata. Sono passati da lì.

Le tv fanno le tv. Secondo lei chi è stato? Luigi, 75 anni il sacrista, non sente le domande. Dice e ripete che per Mike qui arrivavano anche i pullman. «Andavano al San Carlone e poi qui». Lasciavano fiori, biglietti di saluto, lettere per Daniela, Leonardo, Nicolò, Michelino, anche per Zara, la femmina di alano che si era accucciata accanto alla bara di Mike durante l’ultima benedizione in villa, nella piccola cappella piena di fiori. Chi è stato? E che ne sa Luigi il sacrista? Può solo sperare che vada come per Enrico Cuccia, quando avevano arrestato «il Papa» e «Crodino», due balordi della Val di Susa, caso risolto in fretta.

Alle sei del pomeriggio Idilio si rimette il basco blu all’uscita dal cimitero e deve prendersi le pastiglie per il mal di cuore: «Spero che lo trovino, che torni presto...». Da queste parti, quando arriva la cronaca nera, si va a chiedere all’esperto, a Luciano Lutring, il «Solista del mitra» della Milano Anni 60 che adesso scrive libri gialli e sta sul lago. «Con le tecnologie che adesso hanno polizia e carabinieri mi sa che questi hanno poco da vivere e molto da correre. Pochi giorni e li prendono. Chiedere un riscatto per la bara del signor Mike è un maleficio che li porterà dentro». Per Cuccia era finita così.