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 2011  gennaio 25 Martedì calendario

IL TRONO E LA SCIMMIA

Avverto che nelle righe che seguiranno, dedicate alla gara in corso fra l´evoluzione delle cose e delle parole per dirle, sarà ripetutamente impiegato il nome comune: culo.
L´appiglio immediato è un bell´articolo, e discutibilissimo, di Giuliano Ferrara sul Foglio, intitolato senz´altro "La libertà cortigiana, il culo di Montaigne e di Ostellino". Il cui antefatto immediato è in un articolo di Piero Ostellino sul Corriere che, col più anestetico titolo "L´immagine dell´Italia e la dignità delle istituzioni", difendeva il diritto di «una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna» a non essere chiamata prostituta. Ostellino stava citando, con una piccola correzione, perché secondo la sentenza originaria ogni donna sta seduta sulla propria fortuna e non lo sa. Il passo avanti starebbe dunque in questa conquistata consapevolezza, che permette di mettere a frutto il tesoro sul quale si sta sedute.
Ma prima di venire a questi ultimi (per ora) capitoli del dibattito, vorrei richiamare la nuova centralità che il culo si era andato guadagnando. Non che fosse mai stato trascurato, ma si ammetterà che a questo punto chi legga su un giornale la parola "c…", a parte l´ambivalenza, proverà solo un fastidio nei confronti dell´ipocrisia inutile di quei puntini. La parola, e il suo ininterrotto uso augurale, di andarci a fare, viene pronunciata dal palco dell´Ariston come dalle tribune politiche, e aspira anzi a fare da distintivo della liberata società civile. Non può farci impressione, dunque. Al contrario, almeno in un paio di occasioni topiche l´uso della parola ha preso una imprevedibile genialità. Per esempio, quando un signore, membro e anzi nominatore della categoria dei "furbetti del quartierino", deplorò un tipico modo di procedere come un "fare il frocio col culo degli altri". Si trattava a quanto pare di un detto popolare romanesco: non l´avevo mai sentito, pur avendo vissuto a Roma negli anni dell´adolescenza, quando (una volta, poi passava) si prova un gran gusto a dire le parolacce sessualmente spinte, dopo aver passato l´infanzia a dire le parolacce legate alle funzioni escretorie. (Nella transizione dall´una all´altra età la parte del corpo di cui parliamo conserva un posto d´onore). Violando ogni correttezza politica, l´espressione aveva però un´efficacia innegabile: era difficile non interrogarsi su quante persone di propria conoscenza si comportassero esattamente così - e magari su se stessi.
Il secondo impiego ingegnoso è appena arrivato - mi pare - dalla giovane Ruby. La quale, sapete, avvisata che Noemi era la pupilla del Presidente, avrebbe concluso: «Se lei è la pupilla, io sono il culo». Le versioni diverse della frase lasciano dei dubbi sull´intenzione della ragazza, ma preferisco immaginarne la lusinghiera, e che Ruby, come il postino di Neruda (absit), abbia fatto una metafora. Eccellente, perché la "pupilla" - la luce degli occhi di B. (e, tecnicamente, una bambola e una «minorenne affidata alla tutela») diventava una parte del corpo, da sottomettere, con un certo senso di superiorità e di vittoria, all´altra parte, quella sulla quale Ruby è consapevolmente seduta, come su una metafora. Ecco: Ostellino, che ha voluto sottrarre Ruby e le altre alla definizione di "prostitute", è stato tradito da quella piccola correzione sulla consapevolezza. La citazione originale dice che ogni donna è seduta sulla propria fortuna, e non lo sa; e implica che a saperlo sia l´uomo. Pensiero esemplarmente maschile, due volte, quando pensa lei (la parte per il tutto) e quando pensa sé. Anzi tre volte, perché dà per ovvio che la prostituzione (sempre femminile) sia ignobile. La dilatazione a dismisura, pratica e metaforica, della prostituzione nel nostro tempo - offerta che arranca dietro alla domanda, pensate al nostro caso presidenziale, dieci a uno, venti a uno, e Filippo II camminava solo la notte nei corridoi dell´Escurial - va assieme a una moltiplicazione di equivocità morali e sottocategorie sindacali, come in "escort", che hanno spazzato via di colpo decenni di lotte coraggiose di prostitute intenzionate a liberarsi di ruffiani, bigottismi e persecuzioni. La prostituzione nell´Italia di oggi è una prerogativa presidenziale, una conquista della famosa Costituzione materiale. La prostituzione - il "mestiere più antico del mondo", secondo un´altra inveterata dizione maschile, "Puttana Eva!" - è diventata, diciamo così, una vocazione berlusconiana. La storia dell´Italia contemporanea - e dei suoi rapporti internazionali, con la Libia di Gheddafi, con la Russia di Putin e il Kazakistan di Nazarbayev - si nutrirà delle memorie di Ruby e le altre, ben più che di documenti diplomatici.
L´articolo di Ostellino, che contava di difendere l´onorabilità delle ragazze di B. e la privacy di B. e di tutti, ha sollevato, com´era da aspettarsi, (se lo aspettava soprattutto lui) proteste diffuse, e anche una secca lettera di giornalisti del suo giornale, convinti che «sia inaccettabile pensare che "la fortuna" di una ragazza risieda in una o più parti anatomiche da offrire al potente di turno, e che il mondo sia pieno di persone che s´impegnano per raggiungere risultati e far carriera conservando la propria dignità». Ostellino allora è tornato sul tema, per dirsi frainteso, come quel Machiavelli che sfrondava gli allori, e argomentando sul darla e non darla e come darla, e concludendo di aver sostenuto il diritto delle donne a disporre del proprio corpo liberamente, senza venir chiamate puttane. Con ciò offendendo le puttane, che appunto dispongono del proprio corpo se riescono a farlo liberamente, e se vi sono costrette sono a maggior ragione da rispettare e difendere, e dilapidando il lessico, per il quale la prostituta - o la puttana, o la escort - è colei che vende il proprio corpo per denaro o beni equivalenti, dai ciondoli con le farfalle alle case in condominio. Per esempio, l´impeto che portò Monica L. e Clinton alla famosa impresa della Sala ovale non aveva a che fare con la prostituzione, salvo dilatarne il significato alla generica fascinazione di una donna per il potere, e di un potente per una stagista. Il seguito boccaccesco della faccenda, fino al vestitino con la macchia umana conservato in un freezer, raccontava la storia dell´uomo cacciatore e cacciato, non della prostituzione presidenziale, e tanto meno minorile.
E così siamo arrivati all´articolo di Giuliano Ferrara, che ha molti pregi, a partire da quello di dire vino al vino e culo al culo. Ma un difetto forte - a mio affettuoso parere: di annullare le differenze fra un esemplare e l´altro della categoria di uomini maschi. Le quali differenze non sono per lo più abbastanza forti da esonerare affatto noi maschi da una correità in maschilismo, ma lo sono abbastanza da non togliere a ciascuno il suo. E Ferrara fa un gran torto a Berlusconi riducendolo a un esemplare fra gli altri della umana e maschile debolezza della carne. Lo scrissi un´altra volta: Berlusconi è fatto come noi? No, molto di più. Ferrara cita Montaigne: «Per quanto alto sia il trono su cui ci si siede, si è sempre seduti sul proprio culo». Con un´inversione pregevole, il culo è qui dell´uomo, e del regnante. Ci stiamo seduti sopra - e siamo noi a non volerlo sapere, sembra dire Ferrara. E avvisa che «culo è parola filosofica somma, denotazione… dello stigma di umanità che tutti gli uomini e tutte le donne si portano appresso». È proprio così. È vero che "siamo uomini di mondo", e che, com´è addirittura proverbiale, l´avvocato Agnelli e l´editore Caracciolo siano stati spericolati womanizers. Però non sono stati capi del governo (molto di più e molto di meno).
Io non sono interessato alle descrizioni delle notti di B., Lele Mora, Emilio Fede ecc., ne sono respinto. Quanto ai reati, affare dei magistrati, e che Dio gliela mandi buona, agli uni e agli altri. Penso che un capo diurno del governo braccato dalle sue pendenze giudiziarie e abituato (addicted) a fare dei suoi giorni pubblici delle appendici sempre più esauste delle sue notti private, sia una incresciosa iattura per sé e per i suoi concittadini. La circostanza non mi sembra più, da tempo, solo indifendibile, ma indiscutibile. Sul rapporto fra trono e culo, mi sono ricordato di un colloquio che ebbi, quando ero una specie di leader politico, con un dirigente storico del Pci, uomo integerrimo e all´antica, il quale volle ammonirmi (forse aveva sentito di qualche mia dissolutezza) sulla differenza fra l´uomo e la scimmia. «La scimmia - disse - più in alto sale, più espone agli sguardi il culo». Ecco. Io adesso sto dalla parte delle scimmie. Gli uomini spinti troppo in alto, è ora che scendano.