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 2011  gennaio 25 Martedì calendario

De Michelis, editore Don Giovanni - Lo chiamavano l’uomo con la valigia ma si trattava di una cartella di cuoio un po’ usurata che lui teneva sempre stretta, avvinghiandola per timore (forse?) di uno scippo

De Michelis, editore Don Giovanni - Lo chiamavano l’uomo con la valigia ma si trattava di una cartella di cuoio un po’ usurata che lui teneva sempre stretta, avvinghiandola per timore (forse?) di uno scippo. Cesare De Michelis deve questa definizione a un raccontino di Franco Cordelli che lo descriveva, senza distaccarsi troppo dalla realtà, come un irrefrenabile talent-scout che, con il suo borsone traboccante di manoscritti, batteva in lungo e in largo la penisola sulle tracce di nuovi autori. Adesso l’editore-segugio, nato a Dolo, sulla Riviera del Brenta, 67 anni fa, gran divoratore di libri («Per anni ho letto circa mille tomi l’anno per un totale di 50 mila volumi»), scrittore in proprio ( Moderno antimoderno è l’ultimo parto), celebrerà il primo mezzo secolo della sua fucina di saggistica e di letteratura, la Marsilio. Lo farà venerdì al Teatro La Fenice di Venezia (con il presidente Giorgio Napolitano). In contemporanea festeggerà però anche tutta una vita di viaggi (tanti), amori, passioni e furori dedicati proprio a dare anima e corpo all’editoria di cultura. Un’avventura coronata pure da nuovi riscontri: la casa battezzata con il nome del filosofo trecentesco, che ha visto la luce a Padova e poi si è trasferita a Venezia, grazie ad alcuni colpi magistrali come la pubblicazione della trilogia di Stieg Larsson (un totale di cinque milioni di copie vendute solo in Italia), è entrata nell’età del benessere. Un tempo la Marsilio si definiva «piccola», se non microscopica, e adesso conquista i mercati. Un sogno che si è avverato? «Quando mio padre, per la laurea, al posto della 500 mi regalò una quota dell’editrice, ero digiuno di tutto, non sapevo nemmeno cosa volesse dire correzione delle bozze», ricorda De Michelis, oggi presidente della casa confluita in Rcs. «A fondare l’editrice era stato un gruppetto di amici, tra cui mio fratello Gianni (futuro ministro degli Esteri socialista, ndr), Toni Negri che mise in piedi una monumentale traduzione dei Grundrisse di Marx i cui diritti verranno poi ceduti alla Nuova Italia, Giorgio Felisari che stampava il giornalino Il Bo e aveva una tipografia. Cosa caratterizzava questo drappello di ragazzi che, nel giro di pochi anni, abbandonò la casa editrice lasciandomene la completa responsabilità? Avevamo, come tanti coetanei degli Anni Sessanta, una grande improntitudine, pensavamo di cambiare il mondo pubblicando testi di architettura, cinema e scienze sociali. Io avevo anche fondato con Massimo Cacciari una rivista, Angelus Novus , e volevo battere la strada di quel tipo di editoria molto qualificata che va da Gobetti a Einaudi. Cominciai a editare saggi di Gilles Martinet o di Georges Lefebvre e inchieste come Sesso in confessionale che ci portò scomuniche, processi, polemiche ma anche tanti allori. Successivamente feci quello che all’epoca nessuno osava, imboccai la strada degli autori allora poco noti o addirittura esordienti, da Nico Orengo ad Antonio Debenedetti, Carla Cerati, Franco Scaglia, Gaetano Cappelli, Marco Neirotti, Cinzia Tani, fino a Susanna Tamaro e Margaret Mazzantini». Tutto frutto di decenni in su e in giù, dalle Alpi al Meridione, di un metodico setacciamento? «Macché. In letteratura come con le donne è indispensabile il fiuto. E poi io sono sempre stato, fin da giovane, un editore che non sapeva amare un tomo solo, un vero Don Giovanni. Mi è sempre piaciuto azzardare: come con la Tamaro, arrivata da me dopo una marea rifiuti, o come con la Mazzantini che vidi, in foto, bellissima su un settimanale; lessi che stava scrivendo un libro, afferrai la cornetta e le comunicai: “Sarò il suo editore”. Poi ho scoperto che il suo fascino è un po’ algido. Anche con Sergio Maldini, che si portò a casa il Campiello, non ho avuto remore, l’ho chiamato d’impulso. Me ne parlò un amico. “Chi è? Mai sentito nominare”, fu la prima reazione. E poi, quando intuii il tipo di scrittura e il suo talento, non ebbi esitazioni.