ANNA ZAFESOVA, La Stampa 25/1/2011, pagina 3, 25 gennaio 2011
Il Caucaso, da carta vincente a tallone d’Achille di Putin - Le televisioni non hanno nemmeno interrotto le trasmissioni per dare notizia dell’attentato all’aeroporto di Mosca
Il Caucaso, da carta vincente a tallone d’Achille di Putin - Le televisioni non hanno nemmeno interrotto le trasmissioni per dare notizia dell’attentato all’aeroporto di Mosca. Sugli schermi continuavano a scorrere talk-show e fiction, mentre i moscoviti allertati dal tam tam di sms si tuffavano in Internet oppure cercavano di sintonizzarsi sulle dirette della Cnn e della Bbc. I passeggeri che arrivavano agli imbarchi, all’altro capo del terminal di Domodedovo, non venivano informati dell’esplosione accaduta a poche decine di metri di distanza, per non creare panico. Dal blog su Twitter sono scomparse le foto e i video di un imprenditore che, essendo proprietario di una società che opera nell’aeroporto, era stato il primo a dare informazioni sulla nuova tragedia provocata dal terrorismo. E intanto per Mosca circolavano le voci più inquietanti, alle quali nel silenzio si cominciava anche a prestare fede: che c’era stata una seconda esplosione, che i morti erano almeno 70, che la polizia sapeva dell’attentato con una settimana di anticipo, ma non ha fatto nulla. Un’apatia che si è interrotta qualche ora dopo, con una raffica di edizioni speciali dei tg, commentatori che si strappano il microfono, e soprattutto i due leader Vladimir Putin e Dmitry Medvedev, che fanno a gara a promettere remunerazioni alle vittime e punizioni per i colpevoli. Uno spettacolo tragicamente già visto, con l’ex capo dell’antiterrorismo del Kgb colonnello Vladimir Luzenko che chiama a «lottare contro i vigliacchi che uccidono donne e bambini», ma nessuno si interroga sulle eventuali responsabilità dei servizi. Anzi, il viceresponsabile del comitato per la Sicurezza della Duma, Ghennady Gudkov, mette in guardia contro le critiche agli organismi della sicurezza, eternamente al di sopra di ogni sospetto, mentre il politologo di regime Serghey Markov respinge l’idea di aumentarei controlli e le misure di sicurezza: «È comunque impossibile difendere tutti gli aeroporti e le stazioni». Come a dire: ogni tanto un attentato ci sarà sempre, danni collaterali. Chi non ha accesso alle tv, come Boris Nemzov, leader dell’opposizione liberale appena uscito di prigione dopo un arresto per manifestazione non autorizzata nel centro di Mosca, ha argomenti più pesanti: nel 2000, quando Putin promise di «ammazzare i terroristi nel cesso» gli attentati qualificati come terroristici in tutta la Russia furono 130, nel 2009 sono saliti a 750. Nei blog ieri sera trovava sfogo la rabbia di chi chiedeva la testa dei capi dell’Fsb (l’ex Kgb) e del ministero dell’Interno, in carica da anni nonostante tutto. E anche i sospetti di chi teme che, nell’anno in cui comincia la grande sfida che tra un anno porterà i russi a scegliere tra Putin e Medvedev alla presidenza, il ritorno a sorpresa delle bombe cecene non sia casuale: «Vladimir Vladimirovic, l’avremmo rieletta anche senza questi effetti speciali», era la battuta amara che rimbalzava su molti forum. Un sospetto tradizionale nella Russia di Putin, la cui carriera politica è nata come quella dell’uomo che avrebbe protetto il suo popolo dai terroristi caucasici. Nella Cecenia dichiarata «pacificata» nel 2004 attentati, imboscate, bombe sono all’ordine del giorno. Ma è una guerra strisciante che non guadagna più l’attenzione dei media centrali, anche perché i soldati russi nel Caucaso non ci sono più, Grozny è governata dal putiniano di ferro Ramzan Kadyrov e lo stillicidio quotidiano di morti viene attribuito dall’opinione pubblica a faide «tipiche di quei selvaggi». Dopo 150 anni dall’annessione, il Caucaso resta per i russi un territorio ostile e alieno, che non si può perdere anche perché è stato conquistato ad alto prezzo, ma non si può nemmeno integrare, tant’è vero che l’eufemismo «persona di aspetto caucasico», emerso dai verbali dei poliziotti e contestato a lungo dai difensori dei diritti umani, oggi è entrato a far parte del linguaggio anche dei liberali, a giustificare un apartheid nascosto e onnipresente contro quelli che, almeno sulla carta, sono cittadini russi. Un territorio nemico, da affidare a fedelissimi di Mosca che con pugno duro governeranno i loro consanguinei, ottenendo in cambio carta bianca per corrompere, uccidere, far tacere, come Kadyrov. La Cecenia è un’osservata speciale dell’opinione pubblica mondiale, ma quello che avviene in Inguscezia, Daghestan e soprattutto KabardinoBalkaria è coperto dal silenzio. Sono nomi sulla mappa, quasi sconosciuti fuori dalla Russia, eppure è proprio da lì che vengono tutte le kamikaze delle stragi degli ultimi anni, così come da lì venivano gli autori delle esplosioni a Mosca che nel 1999 spinsero Putin a lanciare la seconda guerra cecena. Secondo Yulia Latynina, scrittrice, giornalista e profonda conoscitrice dell’area, è in quelle repubbliche caucasiche che si annida e prolifera la guerriglia jihadista, alimentata dalla miseria, dalla disoccupazione, dalla corruzione e dallo strapotere dei clan al governo che si reggono sull’appoggio del Cremlino.