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 2011  gennaio 25 Martedì calendario

JIHAD RUSSA UN TERRORISMO NATO IN CASA

Pochi russi hanno dubitato, a sentire la tragica notizia del massacro in uno degli aeroporti di Mosca, che l’attentato esplosivo - che ha fatto almeno 45 morti e più di 170 feriti - sia opera dei terroristi islamici dell’inquieto Caucaso. Eppure, accanto allo choc, si avvertiva anche una profonda incredulità. Queste atrocità sembravano appartenere ormai al passato della Russia.

Per più di un decennio il Cremlino ha condotto nel Sud della Russia una brutale guerra per fermare l’espansione dell’islamismo militante, e per anni ha rassicurato i russi dicendo che tutti i terroristi erano stati sconfitti. Fino alla primavera dell’anno scorso erano riusciti a persuadere la maggioranza della popolazione.

Esplosioni e attentati suicidi accadevano ancora, ma solo nel Caucaso, lontano dalle città russe e soprattutto dalla capitale. L’illusione è stata spezzata la scorsa primavera quando due attentatrici suicide, una delle quali poco più che adolescente, si sono trasformate in bombe umane.
Un’esplosione avvenuta all’ora di punta nella metropolitana di Mosca, uccidendo e mutilando decine di persone nel peggiore attacco terroristico subito dalla capitale russa negli ultimi anni.

Ma i russi, famosi per la loro sopportazione delle difficoltà, hanno reagito con il loro tipico stoicismo. Il giorno dopo la vita nella metropolitana scorreva quasi come prima. Lo stesso accadrà all’indomani del massacro all’aeroporto. Ieri, mentre le ambulanze portavano via i morti e i feriti dal terminal degli arrivi, in una scena quasi surreale il terminal delle partenze a 200 metri di distanza continuava a funzionare come sempre, con i passeggeri che entravano e uscivano. Il presidente Medvedev ha cancellato il suo viaggio a Davos e promesso di dare la caccia ai mandanti dell’attentato. Mosca riprenderà presto la sua vita normale.

Ma la convinzione che la Russia stia vincendo la sua guerra al terrorismo, dopo più di un decennio sotto il governo di Vladimir Putin, diventato leader con la promessa di «spazzare via» il terrorismo, si è rivelata sbagliata. La Russia ha condotto nel Caucaso una guerra eccezionalmente violenta contro gli estremisti islamici. Decine di migliaia di miliziani sono stati uccisi e tutti i principali leader dei terroristi sono stati eliminati. Ma la guerra si è spostata dalla Cecenia, dove oggi c’è una relativa stabilità, al vicino Daghestan, dal quale provenivano le due kamikaze della metropolitana. Lontano dall’attenzione del mondo, i servizi segreti russi ora conducono una guerra segreta e sempre più violenta contro i ribelli in quella repubblica. Le tattiche sono le stesse usate in Cecenia: chiunque sospettato di legami con i terroristi rischia di venire rapito, torturato per estorcergli informazioni e, nella maggior parte dei casi, ucciso. Pochi arrivano a un processo, e quasi nessuno vi sopravvive.

I russi sono fermamente convinti che questo sia l’unico modo per sconfiggere i terroristi: con la forza. Ma è sempre più evidente che la violenza e la repressione, decimando i ranghi degli estremisti, aiutano i loro leader a trovare nuove reclute, giovani, facilmente indottrinabili e mosse da un misto pericoloso di vendetta e dogmi religiosi. La più giovane delle attentatrici della metropolitana si è fatta esplodere dopo che l’uomo che amava, un giovane estremista ricercato, è stato ucciso dalla polizia.

E’ troppo presto per trarre conclusioni sul massacro di ieri a Domodedovo, lo stesso aeroporto dal quale decollarono su due aerei diversi altre due attentatrici, provocando una strage sei anni fa. I primi resoconti parlano di un attentatore di origini arabe. Se confermato, la sua provenienza verrà usata dal Cremlino come prova che dietro l’attentato ci sono terroristi internazionali legati ad Al Qaeda. Il governo russo ha sostenuto questa tesi molte volte. Parzialmente è vero, infatti sono pochi i dubbi riguardo ai finanziamenti, l’addestramento e il sostegno offerti dai terroristi internazionali di origine araba ai militanti del Caucaso. Ma l’amara verità è che il terrorismo russo, in ultima analisi, è nato in casa. Non c’entra con l’America, Israele o la Palestina. Non c’entra con la Jihad globale. Riguarda la Russia e solo la Russia. E sempre più russi si diranno, in privato, dopo la vile strage di civili innocenti di ieri, che le tattiche usate dal Cremlino nell’ultimo decennio non stanno funzionando. Mosca, e l’aeroporto di Domodedovo, torneranno alla normalità in un tempo record, ma ancora una volta i russi non si sentono più al sicuro.