Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 25 Martedì calendario

PERCHÉ L’EUROPA DECIDERÀ IL DESTINO DELL’ITALIA

La crisi fiscale di Eurolandia nel corso del 2011 raggiungerà il punto critico. Dopo un anno di impuntature tedesche, diatribe inconcludenti, e vane speranze che tutto si risolva a suon di proclami, le mezze soluzioni approntate dall’ Unione Europea per tamponare l’emergenza stanno esaurendo il loro effetto principale: guadagnare tempo.
Bisognerà mettere mano ai portafogli, peraltro non in floride condizioni. Perchè dalla cortina fumogena alimentata per rassicurare e confondere l’opinione pubblica emerge che il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (in inglese Efsf) approntato con il Fmi e la Bce è insufficiente. Già questo è un sintomo di preoccupante fragilità. Il fondo è dotato complessivamente di circa 750 miliardi di euro (mille miliardi di dollari). Quando fu lanciato a primavera sembrava una cifra stratosferica sufficiente a fugare perennemente qualsiasi timore sui mercati. In realtà non tutti i 750 miliardi sono disponibili (200 miliardi devono garantire la Tripla A del rating dell’Efsf), quindi riuscirebbe solo a fare fronte – dopo quelle di Grecia e Irlanda – a un altra bancarotta di un paese piccolo come il Portogallo. Per la Spagna (e per l’Italia, che subirebbe l’onda d’urto di un altro smottamento finanziario) le linee di difesa sono sguarnite. Quindi si parla di aumentare la dotazione dell’Efsf addirittura fino a duemila miliardi di euro.
Ma chi è in grado di garantire tali cifre astronomiche? Il peso ricadrebbe sulla Germania, la Francia e le poche altre economie europee ancora solide. Ma sull’asse Berlino-Parigi e sulle diramazioni verso Vienna, Amsterdam ed Helsinki serpeggia il terrore che il sostegno ai Pigs possa trascinare tutti nel baratro, come alpinisti in cordata. Così è nato un inedito club europeo della Tripla A capeggiato da Germania e Francia che in sostanza dovrà valutare tre opzioni: 1) assumersi la garanzia dei debiti altrui e stabilire le contropartite; 2) lasciare che i paesi periferici dichiarino bancarotta e poi ricapitalizzare quelle banche che verrebbero spazzate via dalla tempesta; 3) indurre i paesi indebitati ad abbandonare l’euro, in modo che riguadagnando l’indipendenza monetaria possano rimettersi in sesto senza gravare sui partners.
Si può escludere che si propenda coscientemente per l’opzione 3. Anche politici che hanno brillato per incompetenza e approssimazione hanno chiare le ripercussioni disastrose dal punto di vista sia economico che politico. Il Vecchio Continente dovrebbe ammettere un fallimento epocale la cui ombra si stenderebbe per decenni sulla sua credibilità.
La seconda alternativa potrebbe verificarsi per inerzia, perché in assenza di un ampio accordo politico la pazienza degli investitori si va inesorabilmente sfarinando. Considerando i tassi esorbitanti sul debito greco ed irlandese, nonostante la garanzia dell’Unione Europea, verrebbe da concludere che i tempi sono stretti. Il Portogallo cerca ancora di sfuggire alla realtà, ma con tassi vicini al 7 per cento non si trova in una situazione sostenibile. A un certo punto, sparate le ultime munizioni dell’ EFSF i paesi investiti dalla furia dei mercati dovrebbero dichiarare una moratoria sul debito.
La terza opzione è quella più gravida di conseguenze e di opportunità, perché implica la creazione di una politica fiscale comune molto stringente e di un embrione di agenzia del debito europeo. Ma si può star certi che se i governi di Francia e Germania mettono a repentaglio la loro credibilità, il credito di cui godono nei mercati e la loro sopravvivenza politica per farsi carico dei guai mediterranei, la sovranità fiscale dei governi nazionali all’interno dell’Eurozona sarà di fatto ridotta ad un simulacro. Su questo punto il Presidente dell’Eurogruppo Juncker è stato molto esplicito. Del resto si è già stabilito che le leggi di bilancio devono avere un’approvazione preventiva delle istituzioni europee, quindi le maglie possono essere infittite a piacimento. Si prevede che la terapia sarà ispirata dall’austerità imposta a Grecia e Irlanda. I sistemi pensionistici andranno rivisti (quello italiano il cui disavanzo assorbe il 15 per cento del Pil subirà tagli pesanti), i salari dei dipendenti pubblici verranno ridotti, gli sprechi di ogni tipo dalla sanità ai lavori pubblici non saranno più tollerati. A chi rifiuta o tergiversa verrà tolta la garanzia dei fondi europei e dovrà vedersela con il panico che tale misura potrebbe provocare sui mercati. Anzi basterà ventilare la minaccia per piegare anche il più riottoso dei ministri.