Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 25 Martedì calendario

LA SPAGNA ALLA CASSA (UE)

L’eventuale nazionalizzazione delle Casse di risparmio spagnole rappresenta l’ennesimo capitolo di un abbecedario sui rischi di avere l’Euro senza avere una regolamentazione ed una vigilanza unificata. È un libro che purtroppo potrà avere anche altri capitoli, se i governi europei continueranno a vivere alla giornata, scaricando sulla Banca centrale europea (Bce) tutti i conflitti insoluti a causa della loro miopia.

La storia delle Casse spagnole ci offre un monito purtroppo molto attuale. Il rischio di un conflitto tra la tutela della stabilità monetaria - che deve rimanere la priorità per la Bce - e quella della stabilità finanziaria continuano a rimanere alti, se l’Unione continuerà ad avere regole finanziarie disomogenee e una vigilanza frastagliata.

Guardiamo cosa è successo in Europa negli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria del 2007-2009. Se si analizzano i dati del periodo tra il 2001 e il 2006, l’Unione monetaria si caratterizza per una politica monetaria non solo unica, ma anche efficace. L’inflazione effettiva, ma soprattutto le aspettative di inflazione - il vero motore del successo o dell’insuccesso di una banca centrale - sono state entrambe basse e stabili. Lo stesso non è stato per le variabili finanziarie diverse dalla moneta, in particolare legate al livello di indebitamento.

La ragione è semplice: nell’Unione le regole che determinano il modello di banca, nonché le modalità di vigilanza sulle banche stesse, sono ancora troppo legate all’ambito nazionale, con tutti le conseguenze distorsive che ne derivano. Negli anni che hanno preceduto la crisi le industrie finanziarie dei paesi dell’Unione hanno preso strade affatto diverse, per un deficit che è di regole e di vigilanza.

Il sistema di regole dell’Unione è fondato sui principi dell’armonizzazione minima e del mutuo riconoscimento. Tale binomio doveva stimolare la concorrenza tra sistemi, con auspicabili effetti positivi in termini di efficienza. La conseguenza inattesa e indesiderata è stata l’eccessiva crescita del rischio. Infatti si è lasciato al prudente apprezzamento dei banchieri e dei vigilanti nazionali le scelte che finiscono per determinare l’effettivo grado di assunzione del rischio. In alcuni Paesi si è consentito che le banche assumessero rischi eccessivi, vuoi per il modello di attività adottato vuoi per le scelte di investimento. Nei mesi scorsi sono emersi di volta in volta gli eccessi delle banche inglesi e irlandesi, di quelle olandesi e tedesche, e per ultime ma non ultime le casse spagnole.

Nel caso della Spagna l’eccesso di liquidità si è scaricato sul mercato immobiliare. Se si guardano i dati della quota di investimenti immobiliari sul prodotto interno lordo, si troverà che i Paesi più esuberanti sono nell’ordine l’Irlanda, la Spagna e la Grecia.

Per cui regole e vigilanza, se non vogliono diventare focolai di instabilità prima finanziaria e poi monetaria, devono occuparsi dei livelli di indebitamento. Ma perché non lo hanno fatto? Ci sono sia ragioni economiche, che politiche.

La ragione economica è l’ossessione paranoica per i coefficienti di capitale, che ha portato a trascurare sia i coefficienti di liquidità che i livelli di indebitamento. Proprio la Spagna rappresenta l’ulteriore insegnamento che guardare esclusivamente ai coefficienti di capitale non serve. Tanti hanno indicato proprio il caso spagnolo come esempio virtuoso di regolazione, avendo adottato coefficienti di capitale cosidetti anticiclici, in cui si incentiva la raccolta di capitale di rischio nei momenti favorevoli del ciclo. Premesso che la teoria non ha ancora esplorato compiutamente i pro ed i contro di tale scelta regolamentare, in ogni caso l’insufficienza del presidio rappresentato dal solo capitale di rischio è lampante.

La ragione politica è che in un mercato dei capitali europei in cui operano banche nazionali, il rischio che i vigilanti vengano catturati dalle stesse banche, dalla politica, o da un combinato disposto dei due summenzionati fattori, è molto alto. La cattura aumenta i rischi di instabilità. Se poi l’instabilità si manifesta davvero, come nel caso delle Casse spagnole, l’intervento dello stato diventa un passo obbligato. Ma più stato nelle banche significa ulteriori rischi di distorsione, con danni che abbiamo visto valicano i confini nazionali.

Quello che oggi deve preoccupare noi Europei è che, nonostante la crisi, continuiamo a vedere nell’Unione la balcanizzazione delle regole e della vigilanza. La paralisi delle regole è il passivo adattamento al difficoltoso cammino di Basilea 3. Il disegno della vigilanza non è andato oltre una riforma dei meccanismi di coordinamento. Non dovremo allora meravigliarci se il libro dell’instabilità finanziaria si arricchirà di nuovi capitoli.