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 2011  gennaio 25 Martedì calendario

SICILIA NERA. RIPRENDE LA CACCIA AL PETROLIO

È questione di mesi, poi l’orizzonte al largo delle isole Egadi potrebbe cambiare notevolmente e in peggio. Per l’isola siciliana l’anno nuovo ha infatti aperto le porte a un futuro che non si annuncia per niente benevolo e che potrebbe segnare l’inizio di una nuova caccia all’oro nero nel canale di Sicilia. Terminata, la scorsa estate, una prima fase di rilevazioni del fondale marino alla ricerca di possibili giacimenti sia di petrolio che di gas, l’inglese Northern Petroluem ha infatti annunciato ai suoi azionisti la decisione di dare avvio alle trivellazioni entro la fine del prossimo mese di aprile. E poco importa se un decreto firmato il 26 agosto del 2010 dal ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo stabilisce un limite di sicurezza di 12 miglia entro il quale è vietato eseguire le trivellazioni. Per la Northern non rappresenta un problema visto che le piattaforme verranno montate oltre questo limite: «In caso di incidente che le piattaforme siano situate a dodici o tredici miglia cambia davvero poco, e gli effetti per l’ambiente potrebbero essere comunque disastrosi», spiega Mario Di Giovanna del comitato «Stoppa la piattaforma», un cartello che riunisce sotto un’unica sigla tutte le associazioni (Greenpaeace, sezione di Sciacca della Lega navale italiana e di Italia nostra, l’AltraSciacca) impegnate contro le multinazionali del petrolio che hanno concessioni nel canale di Sicilia. Il timore, va da sé, è quello di vedere ripetersi a casa propria uno scenario simile a quello verificatosi nel golfo del Messico dopo l’esplosione di una piattaforma della Bp.
Contro l’inizio delle trivellazioni fino a oggi si è schierato un largo fronte che oltre a numerose associazioni comprende anche molti sindaci dei comuni che si affacciano sulle coste più direttamente interessate. In Sicilia attualmente sono dodici le concessioni vigenti sia per la ricerca che per l’estrazione di petrolio e riguardano anche zone di alto valore ambientale e turistico. «Si rischia pesantemente di stravolgere un’economia come quella siciliana che è fortemente legata al territorio, sia per quanto riguarda la pesca, basti pensare a Mazara del Vallo dove si trova una delle flotte di pescherecci più grandi del Mediterraneo, che il turismo», prosegue Di Giovanna.
Un fondale sismico
Paure infondate? Mica tanto. Le caratteristiche del fondale del canale di Sicilia lasciano spazio infatti a più di un timore, legato soprattutto all’esistenza di forti rischi sismici. Basti ricordare - come fa una ricerca condotta dalla sezione di Catania dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia -, la presenza al largo di Sciacca di una vasta area vulcanica «attiva e di grandi dimensioni», ma anche di altri vulcani sottomarini che, ricorda sempre lo studio, potrebbero «in qualsiasi momento dare luogo a eruzioni sottomarine di tipo esplosivo le quali, a loro volta, potrebbero generare tsunami» con le conseguenze immaginabili da tutti.
Ci sono, poi, i possibili danni che un’attività legata all’estrazione del petrolio potrebbe portare per la flora e la fauna marina. Secondo il Wwf le trivellazioni annunciate dalla Bp nel golfo della Sirte, a poche centinaia di miglia dalle coste siciliane, rappresenterebbero «un colpo gravissimo» per il mediterraneo. I rischi, in caso di un eventuale incidente con dispersione di petrolio, riguarderebbero in particolare cetacei, tartarughe marine, ma anche la foca monaca , il tonno rosso e il delfino. Mentre per le piante la situazione non sarebbe meno grave per il corallo rosso e la posidonia, fondamentale per prevenire l’erosione delle coste.
«Ma la cosa assurda è un’altra», denuncia Di Giovanna. «In tutto questo lo Stato italiano rischia di non guadagnarci nulla, o al massimo solo le briciole. Contrariamente a quanto avviene negli altri paesi, dove le royalties toccano anche il 90% della produzione, dal petrolio estratto in Sicilia lo Stato italiano incassa meno del 4%». «Nel 2008 - conclude Di Giovanna - a fronte di una produzione di circa 250 milioni di euro, la Sicilia ha incassato solo 643.516 euro».
Perché incassiamo così poco, si chiedono giustamente quanti si oppongono a questa nuova caccia all’oro nero. Per capirlo bisogna tener conto, che oltre alle royalties così basse, la legge fissa per le piattaforme off shore anche una franchigia di produzione di 50 mila tonnellate di petrolio annue, sotto la quale non è previsto alcun pagamento. Insomma, un vero regalo per i petrolieri.