Viviana Daloisio, Avvenire 20/1/2011, 20 gennaio 2011
CENSIMENTO
il più trascurato tra i “festeggiati” di questo 2011, ma compie 150 anni, proprio come l’unità del nostro Paese e il Tricolore. Era il 1861 quando vide la luce il primo censimento nazionale della popolazione. Diversamente, certo, non poteva andare: per rendersi conto di quante persone vivevano sul territorio nazionale, di come erano distribuite, se lavoravano e in quale comparto, serviva che l’Italia fosse una: prima, quel problema, non s’era mai posto. E d’altra parte, senza sapere e fissare tutte queste informazioni, una – l’Italia – non sarebbe mai stata davvero.
Centocinquant’anni di censimento dunque, anche se in senso lato: perché se è vero che all’indomani del 1861 ci si mise per la prima volta a fare i conti, poi lo si fece una volta ogni decade. Quattordici per l’esattezza (ci fu qualche eccezione), fino a oggi. Il prossimo ottobre sarà tempo di ricominciare. Con l’Europa all’orizzonte e il mouse alla mano.
Alle origini. Ma perché, si fa un censimento? Per conoscere, valutare, programmare e decidere, a ogni livello – dal singolo cittadino al governo nazionale – sulla vita di un Paese. I dati e le informazioni raccolte consentono di effettuare analisi puntuali e approfondite delle caratteristiche demografiche, sociali ed economiche della popolazione così come nessun’altra rilevazione campionaria permetterebbe. A metterle in ordine ci pensa, dal 1926, l’Istat. Partendo da quattro caratteristiche uniche di questo strumento: l’universalità (il censimento riguarda tutte persone sul territorio nazionale, e non solo un campione), l’individualità (le informazioni sono rilevate su ogni singolo individuo, anche se potrebbe fornirle un solo componente della famiglia), la simultaneità (tutte le informazioni raccolte sono riferite a una medesima data) e la periodicità definita (la già citata cadenza decennale). Ma il censimento fa anche di più: racconta l’evoluzione dell’Italia, registrando i cambiamenti avvenuti di decennio in decennio, fino a costituire un archivio insostituibile per testimoniare il passato.
Il primo “europeo”. Il censimento previsto per il 2011 avrà molte novità rispetto a quelli passati. Prima su tutte, per la prima volta sarà soggetto a una normativa europea ad hoc, entrata in vigore nel luglio del 2008. Il regolamento, che è vincolante per tutti gli Stati membri, ha uniformato i contenuti delle rilevazioni censuarie (informazioni, definizioni dei relativi concetti e classificazioni), il piano di diffusione (quali tabelle produrre e quando renderle disponibili) e persino la qualità dei dati da produrre. Obiettivo: garantire il confronto dei risultati dei diversi Stati membri (che saranno gradualmente convogliati a Bruxelles) e agire – anche a livello comunitario – basandosi su di essi.
Entra in gioco Internet. La principale innovazione del censimento di quest’anno sarà l’uso del Web. Per la prima volta nella storia delle rilevazioni le famiglie avranno la possibilità di restituire il questionario attraverso il canale più adatto alle proprie esigenze: poÈ tranno scegliere se compilare il questionario online (sicuri da possibili attacchi di hacker grazie alla dotazione di password e codici appositi), se consegnarlo presso uno dei punti di raccolta che saranno capillarmente diffusi sul territorio, o direttamente presso i centri che verranno allestiti dai Comuni. L’aspettativa dell’Istat è che la diffusione del mezzo telematico spinga il maggior numero di persone a muoversi in Rete (mezzo che sarà sponsorizzato anche attraverso compagne di sensibilizzazione apposite). Tutti tranquilli, però, soprattutto gli anziani: rimarrà comunque possibile consegnare il questionario nelle mani dei rilevatori, che all’occorrenza interverranno sul territorio per il completamento delle operazioni.
Le altre novità. Tra le innovazioni del 2011 ci sarà anche l’impiego nella rilevazione delle liste anagrafiche comunali (dette ’Lac’) delle famiglie. Fino a dieci anni fa, erano i rilevatori a recarsi nelle sezioni, nei quartieri, negli stabili, e distribuire i questionari porta a porta. Il nuovo metodo consentirà invece una modifica radicale nel processo censuario: per la prima volta i questionari saranno distribuiti per posta. Altra novità, l’impiego di due versioni del questionario nei Comuni più popolati (sopra i 20mila abitanti): qui un terzo dei rispondenti riceverà il questionario completo (in cui oltre alle domande base, vengono poste al cittadino anche domande sull’occupazione, il luogo di studio ecc...), mentre ai restanti due terzi sarà inviata la versione ridotta dello stesso, in modo da alleggerire il carico statistico sulle famiglie e facilitare il lavoro di rilevazione. Nei restanti Comuni sarà invece utilizzato il modello tradizionale.
Le rilevazioni per la prima volta seguiranno anche la linea dell’Ue, che lo scorso luglio ha imposto a tutti gli Stati metodi comuni
GIÀ IN CORSO
AGRICOLTURA “PIONIERA” IL 31 GENNAIO LO STOP
In attesa di quello sulla popolazione e sull’industria (a ottobre) e, per il 2012, di quello su no profit e istituzioni pubbliche, un altro censimento è già in corso: quello generale dell’agricoltura. È il sesto nella storia del Paese: offrirà una fotografia dettagliata dell’attività agricola italiana e ha segnato la messa alla prova delle principali novità introdotte dall’Istat. A cominciare dalla ricezione delle normative europee, che hanno chiesto agli Stati membri di rilevare soltanto le aziende i cui terreni si estendano al di sopra di una certa dimensione (in Italia varia da regione a regione). E poi l’introduzione del web, coi titolati di aziende agricole che possono decidere se compilare i questionari online oppure contattare un rilevatore. La raccolta dei dati è cominciata il 25 ottobre scorso e si chiuderà il 31 gennaio: le Province autonome di Trento e Bolzano sono le più virtuose, per ora, con l’88 e il 78% dei questionari già consegnati, seguiti dall’Emilia Romagna. (V. D.)
IL CONFRONTO
1861: QUANDO L’ITALIA ERA “QUATTORDICENNE”
Centocinquant’anni di Italia, ovvero centocinquant’anni di cambiamenti. Il censimento li ha registrati tutti, a ogni decade, con tre sole eccezioni: il 1891, quando non si tenne in conseguenza della grave crisi economica che investì il Paese; il 1936, quando si tenne a soli cinque anni dal precedente per volere di Mussolini; infine il 1941, quando non fu effettuato a causa del secondo conflitto mondiale. All’indomani dell’unificazione del Paese i dati parlarono di 22,2 milioni di abitanti (con gli abitanti del Veneto e dello Stato Pontificio, che ancora non facevano parte del Regno d’Italia, 26,3), con il 32% della popolazione costituita da giovani sotto i 14 anni e solo l’8% sopra i 60. Un dato, l’ultimo, che fa sorridere se paragonato con quello registrato nel 2001 con gli over 65 al 18,7% della popolazione (dieci anni fa quasi 57 milioni), gli over 75 all’8,4% e i centenari raddoppiati: numeri che hanno permesso all’Istat di stabilire che nel nostro Paesi per ogni bambino ci sono 3 anziani e mezzo. Altra curiosità, la città più popolosa: nel 1861 il primato spettò a Napoli (con 447.065 abitanti), poi dal Novecento fino al 2001 a Roma (con 2.546.804, un numero più volte contestato dalle autorità locali perché considerato troppo basso). E poi il capitolo stranieri: il censimento del 2001 ne contò 1.334.889 regolarmente residenti in Italia (il 2,3% della popolazione). Erano quasi 1 milione in più rispetto al censimento del 1991, e quasi 3 in meno rispetto a quelli registrati (non con metodi censuari) appena l’anno scorso dall’Istat: 4,2 milioni, pari al 7% del totale. (V. D.)