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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

I ROVINOSI CROLLI FINANZIARI DELLE PIRAMIDI MEDITERRANEE

Ben Alì se ne è andato abbattuto da una civilissima rivoluzione, Sali Berisha è ancora in sella ma deve affrontare un’altra rivolta dopo quella che lo sbalzò dal potere nel ’97 lasciando sul terreno un enorme buco finanziario e oltre duemila morti. Stanno crollando le piramidi del Mediterraneo, sistemi che hanno depredato interi paesi. Lo sfaldamento di questi regimi corrotti - e siamo solo all’inizio - sarà pagato in termini economici e sociali anche da noi, principali partner commerciali.

In Tunisia è stato un clan, esteso come una tribù, che ha messo le mani su tutto. «Non sappiamo ancora quantificare l’estensione delle proprietà del gruppo Ben Alì-Trabelsi e quali siano i danni finanziari», dichiara candidamente il nuovo direttore della banca centrale di Tunisi, un uomo d’esperienza come Kamel Nabli che avrà a che fare con seri problemi nel sistema bancario, rinviando la piena convertibilità del dinaro.

La Banca Zitouna, del rampante genero di Ben Alì Sakher Matri, da qualche giorno è in amministrazione controllata dopo avere registrato perdite stimate in 700mila euro al giorno: una beffa perché era stata presentata come il primo istituto di credito islamico di un circuito economico di stampo coranico esente dalle speculazioni del capitalismo classico.

Ma questa non è l’unica piramide tunisina. Nel mirino dell’Authority ci sono anche Banque de Tunisie e Banque du Sud che finanziavano il clan per acquisire a debito società e concessioni pubbliche: erogavano, semplicemente, prestiti che non venivano restituiti. Come non pensarci prima?

Ci vorrà ancora qualche tempo per capire le dimensioni reali di questa gestione mafiosa, in molti ministeri ci sono nuovi capi ma il clan per oltre vent’anni ha nominato i direttori di ogni settore economico e amministrativo, quasi tutti imparentati con i Ben Alì-Trabelsi: sono ancora al loro posto, a piede libero. Si spiega così tra l’altro perché, tra quotidiane conferme e smentite, non si sappiano quantificare le riserve auree dove Leila Trabelsi avrebbe attinto una tonnellata e mezza d’oro in lingotti. L’Unione deve inviare subito una missione: la Tunisia dipende dall’Europa per l’80% dalle esportazioni e gli introiti del turismo, le fonti più dirette per fare cassa e arginare i contraccolpi della crisi.

L’Albania, che ha inventato l’economia piramidale, applicando il Ponzi Scheme con un’estensione mai accaduta nella storia, paga una corruzione endemica. Per il momento si è dimesso per tangenti il vice primo ministro Ilir Meta, che negli anni Novanta conobbi come un giovane di belle speranze al quale noi giornalisti offrivamo volentieri un pranzo all’Hotel Roegner. Non è certo l’unico responsabile: se rastrellava tangenti lo faceva anche per lubrificare un sistema, altrimenti lo avrebbero fatto fuori già da tempo.

A Tirana gli albanesi, illusi da un ricchezza di cartapesta ottenuta mettendo soldi in una catena di Sant’Antonio, negli anni Novanta incassavano utili mensili di 80mila lire al mese, rifiutando posti di lavoro sottopagati dove se ne guadagnavano centomila. I tavoli dei bar di Valona erano affollati di sfaccendati che sorseggiavano cognac, un ozio effimero sostenuto con gli utili della piramide Giallica, oltre che con il narcotraffico e l’emigrazione clandestina degli scafisti.

Le piramidi, favorite come il contrabbando dal triangolo dei capi di allora - Berisha-Djukanovic-Milosevic - si erano diffuse a Belgrado e in Montenegro, con flussi di denaro importanti verso Grecia e Italia. Quando a Tirana un funzionario europeo ci ficcò il naso venne ricattato con uno scandalo sessuale e il Sole 24Ore che raccontava queste vicende, riprese e tradotte dalla stampa locale, per alcuni giorni fu fatto sparire da mani ignote all’aereoporto. Il crollo delle piramidi innescò contro Berisha una rivolta che portò al saccheggio del paese: si volatilizzarono all’estero depositi per 1,2 miliardi di dollari.

È servita questa lezione? Direi di no, neppure a noi europei incapaci di frenare la rovina di intere nazioni sulle sponde di un Mediterraneo di un azzurro sempre più cupo.