Daniela Roveda, Il Sole 24 Ore 23/1/2011, 23 gennaio 2011
I CINESI D’AMERICA NELL’ANNO DEL RITORNO
Buone notizie per i disoccupati (americani) e brutte notizie per i negozi (sempre americani) low cost: fra due settimane si celebra il capodanno in Cina. Per i quindici giorni di festa e di baldoria nel mese di febbraio, tutte le fabbriche cinesi chiudono e milioni di operai tornano a casa dagli Stati Uniti per festeggiare con la famiglia. Molti di loro, contadini sradicati dai loro villaggi per lavorare in stabilimenti lontani centinaia di chilometri da casa, molto probabilmente non torneranno più in fabbrica.
Per i negozi americani che vendono merce di poco prezzo made in China, l’arrivo del Capodanno quindi significa nella migliore delle ipotesi che per due settimane le forniture si fermano, e gli scaffali restano vuoti. Ma nella peggiore delle ipotesi, se molti operai decideranno di non tornare più alla catena di montaggio come molti temono, il Capodanno potrebbe creare disagi duraturi.
È già da qualche anno che i negozi americani si lamentano per i ritardi delle forniture provenienti dalla Cina. Il boom economico cinese sta causando una carenza di manodopera, e di conseguenza un aumento dei salari e dei costi di produzione, secondo alcune stime del 10-15% all’anno. Molte società americane che anni fa avevano spostato la produzione in Cina per sfruttare i bassi costi del lavoro e una manodopera qualificata, efficiente e disciplinata, hanno iniziato a cercare altrove: in Vietnam, in Costa Rica, in Bangladesh, in Indonesia. Di recente persino in California.
All’improvviso il mercato del lavoro americano sta diventando attraente per alcuni produttori Usa. L’alto tasso di disoccupazione negli Stati Uniti, vicino al 10%, sta esercitando pressioni al ribasso sui salari, soprattutto su quelli degli immigranti messicani, molti dei quali sono nel paese illegalmente. Alcuni negozi americani stanno riscoprendo la comodità di essere fisicamente vicini agli stabilimenti di produzione, senza i rischi legati ai trasporti e alle fluttuazioni dei prezzi del carburante.
È troppo presto per affermare che si tratti di un trend, e resta vero che per ora la Cina continua ad essere una destinazione privilegiata per l’outsourcing americano. «Quello che oggi consigliamo ai nostri clienti – dice tuttavia Bruce Cohen, della società di consulenza per il settore industriale al dettaglio Kurt Salmon – è di non mettere tutte le uova nel paniere cinese».