Rosina Sorani, Il Messaggero 20/1/2011, 20 gennaio 2011
QUEI DIARI DELL’ORRORE SCRITTI DALLE VITTIME
ROMA, Sabato 25 settembre 1943. Questa mattina il dr. Cappa, Capo dell’Ufficio Razza del Ministero dell’Interno, è venuto in ufficio per dire al signor Presidente, avvocato commendatore Ugo Foà, che la sera alle ore 6 era atteso all’ambasciata di Germania per comunicazioni urgenti e che vi si fosse recato insieme a Sua Eccellenza Dante Almansi, Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane. Infatti la sera alle sei, il signor Presidente insieme a Sua Eccellenza Almansi si è recato all’Ambasciata, ove è stato intimato loro dal Capitano Kappler di consegnare entro 36 ore kg. 50 di oro, perché altrimenti, trascorso tale termine, sarebbero state prese in ostaggio 200 persone, le quali sarebbero state tirate a sorte tra tutti gli Ebrei di Roma e deportati in Germania.
Lunedì martedì 27-28 settembre 1943. Giornata di gran commozione. Raccolta dell’oro. Grande affluenza di pubblico specialmente del popolino. Vi erano tre persone che pesavano e saggiavano l’oro; le signorine impiegate che facevano le ricevute ed io avevo in consegna l’oro raccolto. Tutti ciò venne esplicato nella Sala del Consiglio.
Sabato 16 ottobre 1943 (Terzo giorno di Succod). Varie centinaia di Ebrei sono stati presi dai tedeschi nei vari rioni di Roma e specialmente nel Ghetto. Sin dalla mezzanotte del venerdì hanno piantonato i portoni di quelli che dovevano essere presi ed alla mattina del sabato alle sei hanno cominciato la retata che è durata per varie ore.
Uscita di casa come il mio solito per andare alla portiera del Tempio per vedere se vi fosse nulla di nuovo, mi venne detto da una ragazza che non mi fossi mossa da casa perché prendevano gli Ebrei; io non volli credere e continuai ad andare avanti, ma giunta nelle vicinanze della fioraia a Ponte Garibaldi mi venne detto da un Ebreo che non fossi andata in ufficio perché vi era pericolo di essere presa; non persuasa di ciò continuai per la mia strada, ma quello stesso Ebreo che era vicino alla fioraia mi ha richiamato indietro intimandomi di non andare più oltre, perché ancora passavano i carri tappezzati di nero che trasportavano gli Ebrei; difatti ne vidi uno carico: vi erano uomini, donne e bambini. Allora stetti alcuni istanti indecisa non sapendo che cosa fare. Infine decisi di telefonare al signor Presidente, lo avvertii che avevo urgente bisogno di parlare con lui per una cosa gravissima. Mi rispose che avessi atteso, che sarebbe venuto subito in ufficio; io gli dissi che ciò era assolutamente impossibile, che bisognava che io fossi andata subito da lui. Mi recai da lui prima delle otto per rendergli noto quanto avveniva e per cercare di farlo allontanare subito da casa. Ho telefonato a mio fratello perché mi trovasse un alloggio; mi ha mandato all’albergo Milano ove sono stata sino al lunedì e da qui sono andata in via Cremona 71 presso la signora Lallai, una signora vecchia ma molto buona. I tedeschi a quelli che trovavano nelle case imponevano di seguirli e consegnavano o facevano soltanto leggere il seguente biglietto
1) Insieme con la vostra famiglia e con altri Ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti;
2) Bisogna portare con sé: viveri per almeno 8 giorni, tessere annonarie, carta d’identità e bicchieri;
3) Si può portare via una valigetta con effetti e biancheria personali, coperte ecc., denari e gioielli;
4) Chiudere a chiave l’appartamento e prendere la chiave con sé;
5) Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo;
6) Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto, la famiglia deve essere pronta per la partenza.