Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 21 Venerdì calendario

LE REGOLE DI WOLFSBURG PER LA COMPETITIVITÀ

«Con un costo del lavoro tra i più alti al mondo siamo costretti a essere creativi». Il direttore delle risorse umane di una media impresa del Baden-Wuerttemberg che produce macchinari per l’industria automobilistica, riassume con una battuta la complessità ma anche la relativa fluidità delle relazioni industriali tedesche.

Il risultato finale di una riforma che in realtà è un work in progress dell’ultimo ventennio, fa strabuzzare gli occhi a politici e imprenditori dei partner economici più vicini e diretti, Francia e Italia: hai voglia a studiare il modello renano, perché fatte le debite proporzioni e tenendo conto degli anemici standard di crescita europea, la Germania viaggia quasi al ritmo di un mercato emergente.

Se la Fiat di Marchionne ha scompaginato definitivamente gli italici schemi nel gelido inverno 2011, Volkswagen ha contribuito a ridisegnare il volto del patto sociale tedesco nell’industria poco dopo la caduta del Muro. Esiste infatti il contratto collettivo metalmeccanico, negoziato tra il sindacato IG-Metall e l’associazione imprenditoriale Gesamtmetall, di cui Volkswagen è membro. E c’è il contratto Vw, a parte, che spesso ha aperto la strada nuove formule di flessibilità replicate in altre parti del paese.

Per essere il colosso che è, sul fronte delle relazioni industriali Volkswagen è stato tutto fuorché un blocco di monolitismo sindacal-statalista (la Bassa Sassonia detiene una partecipazione del 20%). All’inizio degli anni Novanta, per far fronte al drastico calo della domanda e non licenziare 30mila dipendenti, si inventò la settimana lavorativa di quattro giorni. Il 2006, col fiato sul collo dei giapponesi (Toyota in particolare) e a causa di risultati sempre meno brillanti, si tornò alle 35 ore a parità di salario. Erano gli anni della moderazione salariale pressoché assoluta e la delocalizzazione a portata di confine era il convitato di pietra in qualsiasi negoziato. Nel 2004 ci fu lo scambio tra sostanziale congelamento degli stipendi e la garanzia aziendale di non licenziare personale fino al 2011. Volkswagen mise sul piatto un investimento di 2 miliardi di euro per il periodo 2007-2010 nei cinque stabilimenti tedeschi più importanti dettagliando gli impegni sui prodotti e sulla capacità necessaria agli impianti.

Questo patto "salva-occupazione" è stato rinnovato nel febbraio scorso fino al 2014, legato anche in questo caso a un preciso piano di investimenti, fabbrica per fabbrica, modello per modello, e illustrato a IG Metall. Il contratto attualmente in vigore (fino alle fine del 2011) risale al settembre 2009. In quell’occasione i sindacati hanno ottenuto un aumento salariale del 4,2% nei diciotto mesi più due una tantum, da 510 e 200 euro. Da quest’anno scatta una remunerazione aggiuntiva, di circa 100 euro al mese, legata al conseguimento degli obiettivi di produttività.

Lo stipendio base di un addetto alle linee di produzione è di 2.756 euro lordi mentre si sale a 3.300-3.500 per il salario di un addetto alla manutenzione dei macchinari. Gli straordinari notturni sono pagati il 45% in più e quelli pomeridiani il 30%. Ma anche nell’ambito di un accordo che copre tutti i 95mila dipendenti delle fabbriche tedesche, si possono trovare ulteriori forme di flessibilità. A Wolfsburg, il più grande stabilimento automobilistico d’Europa, si è tornati a lavorare su tre turni per soddisfare la forte domanda di alcuni modelli. Il ciclo continuo ha portato una revisione delle pause, fissate in precedenza a 5,30 minuti remunerati per ogni ora lavorata. Chi rientra nei tre turni ha diritto a 20 minuti supplementari, ma nei fatti ne beneficerà solo chi effettua il turno di notte perché più usurante. I 20 minuti aggiuntivi degli altri turni si accumuleranno su un conto ore, accantonato e reinvestito dall’azienda, e potranno essere scalati dalla carriera lavorativa di un dipendente.