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 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

CARCERE CINQUE STELLE


Tre ragazzi giocano a carte in un luminoso salotto in stile Ikea. Sulla parete di fondo spicca un enorme televisore ultrapiatto, e nell’angolo-cucina due loro compagni si accingono a preparare il pranzo su un piano di lavoro in acciaio. Poco più in là si intravede un corridoio con una serie di porte chiuse. Una casa dello studente super-lusso? Se non fosse per il gabbiotto con dentro due persone in divisa che osservano la scena attraverso una parete di vetro, si potrebbe pensarlo. Ma siamo nel carcere di Halden, un’ora di macchina a sud-est di Oslo, considerato il più avanzato del mondo. Inaugurato alla presenza del re Harald nell’aprile scorso, è stato accolto con sarcasmo da giornalisti e cibernauti. "È imbarazzante sapere che una prigione ha uno standard più alto di alcuni degli appartamenti in cui ho abitato", ha commentato un giornalista della rivista americana "Fast Company". Mentre un blogger ha scritto: "Se dovessi mai commettere un crimine lo farei in Norvegia". I diretti interessati, i detenuti, non sembrano altrettanto entusiasti. "La galera è sempre galera", dice Stian, 38 anni, che sta per intraprendere uno studio di economia a distanza."La cosa essenziale non sono la tv, il frigo e la doccia in cella. Parecchi vorrebbero tornarsene nelle galere dove stavano prima perché lì avevano più libertà".
La prigione di Halden, costata 171 milioni di euro, è la seconda del Paese per capienza (252 detenuti, ciascuno in celle individuali di 12 metri quadrati), ma la più grande in Scandinavia in termini di superficie: 30 ettari. L’imponente muro di cinta è nascosto alla vista da un tratto di foresta che gli architetti hanno scelto di inglobare nel complesso. Così, guardando fuori dalle finestre, di spesso vetro antiscasso, ma senza sbarre, si può quasi sognare di vivere in una casa al limitare del bosco. Per raggiungere scuola, lavoro e centro ricreativo, i detenuti devono uscire dalle celle e percorrere un sentiero tra gli alberi. Tra le strutture per il tempo libero spiccano una palestra con parete per l’arrampicata e una saletta prove adiacente a un modernissimo studio di registrazione. La biblioteca ha circa 4 mila volumi oltre a riviste e dvd, e sciami di detenuti entrano ed escono trascinandosi dietro enormi buste di plastica. I comfort di Halden sono modellati su quello che il sistema carcerario norvegese chiama il "principio di normalità": la detenzione deve avvicinarsi il più possibile alla vita al di là del muro, affinché il reinserimento nella società possa avvenire nel modo più naturale, e il rischio di recidiva sia ridotto al minimo.
"Chi ha subìto una condanna ha gli stessi diritti degli altri cittadini", spiega Synnove Sørland, coordinatrice delle attività artistiche e culturali all’interno del carcere: "L’aver perso la libertà dev’essere l’unico elemento punitivo. Non sta scritto da nessuna parte che le finestre debbano essere piccole o il cibo cattivo, o che uno debba subire abusi. Sono princìpi codificati in tutte le convenzioni internazionali, che purtroppo spesso e volentieri altrove non vengono applicati". A giudicare dalle statistiche, il metodo sembra funzionare. Un recente studio mostra che soltanto il 20 per cento di chi ha scontato una pena torna in prigione entro due anni dalla scarcerazione, contro il 60 per cento dell’Inghilterra, per esempio.
A un tavolo nell’elegante mensa del personale siede un gruppo di ragazze in uniforme, nessuna delle quali sembra superare i 30 anni. Come i loro colleghi maschi, girano disarmate con addosso soltanto un allarme da attivare in caso di necessità. Ellen Sofie Solbr kke, stretta collaboratrice del direttore Are Høidal, è convinta che un tocco di femminilità sia fondamentale per allentare la tensione. "Ci sono tante cose che noi donne possiamo dire ai detenuti senza che se la prendano: forse è arrivato il momento di farsi una doccia. Oppure: guarda, il tuo maglione è macchiato, mettiamolo in lavatrice. Un uomo non potrebbe permettersi di fare commenti così".
All’interno dei locali che ospitano la scuola a volte è perfino difficile distinguere gli insegnanti dai detenuti. Nelle officine e nella falegnameria, questi ultimi maneggiano con disinvoltura martelli, seghe, fiamme ossidriche, saldatrici e macchinari industriali di vario tipo. Alcuni dipingono, altri frequentano il corso di catering presso il laboratorio gastronomico, con indosso berretti da cuoco e casacche bianche. A vederli così è difficile scorgere in loro dei pericolosi criminali. Ma a volte le apparenze ingannano. "Non bisogna dimenticare che questa è una prigione di alta sicurezza: ci sono tra loro molti assassini, violentatori, corrieri della droga", dice il direttore: "Noi facciamo di tutto per farli uscire migliori di come sono entrati".
Ma i carcerati sembrano avere priorità completamente diverse. "Dicono tanto che questa prigione è umana, ma hanno adottato i peggiori regolamenti dalle carceri preesistenti", dice il quarantaquattrenne Ching, che è nato a Taiwan e cresciuto in Norvegia. Ching ha ancora 16 anni da scontare: "Passiamo molto tempo in isolamento, e non ci lasciano utilizzare le strutture a disposizione come vorremmo. Ad esempio, se non partecipi alle attività sportive pomeridiane ti chiudono a chiave nelle celle, che sono individuali, invece di lasciarti in salotto a chiacchierare. La stessa cosa vale per l’ora d’aria. E poi le guardie sono presenti in ogni momento della giornata, non ci lasciano mai soli. Sto pensando seriamente di far domanda per tornarmene nella prigione dove stavo prima". Il direttore invece è soddisfatto: "Sono contento di sentire che i detenuti ci considerano onnipresenti. Fa parte di una strategia riabilitativa a livello nazionale, e lo scopo è proprio evitare che un criminale possa reclutare altri detenuti per mettere a segno un nuovo colpo una volta usciti".
Una delle critiche principali riguarda il rischio che carceri con uno standard così elevato possano attrarre un numero ancora maggiore di criminali dall’Est europeo, che alla peggio hanno di fronte a sé "un soggiorno gratuito in una prigione di lusso". Ma Høidal non è d’accordo: "Io parlo con tanti delinquenti stranieri. Non vengono certo qui per finire al fresco. Inoltre non possono sapere dove sconteranno la pena". Chi viene da lontano ha lo svantaggio di non ricevere quasi mai visite, e di non poter utilizzare il fiore all’occhiello del carcere: la villetta con salotto e due camere da letto nella quale si può chiedere di trascorrere un weekend con moglie e figli. Fuori dalla "sala delle preghiere", una cappella non consacrata che può essere usata da detenuti di qualsiasi fede, il nigeriano Paul si riposa dopo un allenamento all’aria aperta. Poi tira un sospiro: "Tutti, anche le persone migliori, in certe condizioni possono commettere errori. Se le possibilità che ho qui dentro le avessi avute mentre ero fuori, non sarei mai finito in carcere."
Difficile prevedere se questa nuova prigione e la sua fama internazionale contribuiranno o meno ad attrarre più criminalità, ma una cosa è certa: l’unico detenuto ad essersi tolto la vita ad Halden sinora era uno straniero che aveva davanti a sé una lunga pena da scontare in Norvegia.