Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

COME SALVARE L’EURO


L’euro è come un bel palazzo moderno, uno di quelli che continuano ad attrarre nuovi inquilini (l’Estonia è entrata a farne parte il 1 gennaio), sulla terrazza del quale vengono organizzate mega feste per i residenti più facoltosi e di successo (i tedeschi). Ma giù in cantina c’è una gigantesca bomba ad orologeria, con il ticchettio dell’orologio che scandisce il tempo. A meno che quella bomba non venga disinnescata, e presto, il palazzo rischia di essere distrutto.
La bomba è il debito sovrano di Grecia, Irlanda e Portogallo. Chi pensa che della faccenda ci si era già occupati lo scorso anno con la creazione del tanto sbandierato Fondo europeo di stabilità e dei prestiti del Fondo monetario internazionale, sbaglia: i pacchetti per la Grecia e l’Irlanda sono solo serviti a prendere tempo rifinanziando parte del debito di questi paesi. È come se il proprietario del nostro palazzo cambiasse l’orario al timer della bomba con l’idea che l’arma diventi così meno potente.
Certo, il problema di questi paesi tanto indebitati è semplice da descrivere ma difficile da risolvere. A causa della recessione 2008-10 e al crollo delle proprietà immobiliari, molti paesi - tra cui certamente Grecia e Irlanda, ma forse anche Portogallo e Spagna - hanno accumulato un debito pubblico di tale portata che ora, per essere in grado di pagarlo, avrebbero bisogno di una forte crescita economica. Ma le misure che vanno prese per ridurre il prestito e ripristinarne la competitività - tagli al budget e agli stipendi - ne stanno indebolendo la crescita.
Nel frattempo, i possessori di obbligazioni governative chiedono tassi di interesse più elevati (vedi rendimento delle obbligazioni) cercando di tutelarsi contro la possibilità che uno o più di questi paesi diventi inadempiente sul prestito. Non si fidano delle promesse dei leader europei che sostengono di voler mettere in campo ogni azione possibile per proteggere l’euro ed evitare eventuali inadempienze nei confronti del debito, perché una cosa simile sarebbe difficilmente accettabile politicamente: i soldi dei contribuenti tedeschi, francesi e di altri paesi utilizzati per finanziare i debiti di irlandesi, greci, portoghesi o di altri ancora.
Inoltre i sottoscrittori dei bonds sospettano che la crescita economica di questi paesi indebitati sarà troppo lenta perché siano in grado di accumulare il denaro necessario alla copertura dei debiti. Sospettano anche che le politiche di questi paesi possano ribaltarsi a favore dell’inadempienza o di una rinegoziazione del debito. La disoccupazione in Grecia è drammaticamente in crescita. L’Irlanda si sta preparando ad affrontare le elezioni in primavera e i possibili nuovi partiti al governo si sono già espressi a favore della rinegoziazione.
Quindi l’euro è spacciato? Non credo, anche se solo un folle potrebbe negare che si trovi in pericolo. Un grande punto a suo favore è che questa valuta sta attualmente aiutando la crescita del maggior pagatore dell’Unione europea, la Germania. La ripresa tedesca nel 2010, con un tasso di crescita del Pil del 3,6 per cento (l’Italia è circa all’1,1 per cento), è tra le più notevoli storie di successo che l’Occidente ricordi. Con la disoccupazione in calo (al 7,5 per cento contro l’ 8,6 per cento dell’Italia), i redditi in aumento e un’esplosione delle esportazioni, perché la Germania dovrebbe prendersela per quel paio di problemucci dell’eurozona?
La maggior parte delle teorie sulle possibili soluzioni al problema si sono concentrate su un percepito bisogno di una maggiore interferenza nelle politiche fiscali dei membri e su una "transfer union", che renda possibile l’utilizzo di parte del denaro proveniente dalle tasse dei paesi più ricchi per sostenere quelli più deboli. Tuttavia, una maggior interferenza è irrilevante rispetto alla crisi attuale: forse basterebbe convincere gli elettori e i sottoscrittori del debito pubblico che la crisi non si ripeterà. L’idea dei trasferimenti fiscali a me sembra destinata al fallimento: se a questo argomento sono politicamente sensibili perfino in Italia, perché gli elettori tedeschi, olandesi o appunto italiani dovrebbero accettare trasferimenti fiscali fuori dai confini nazionali?
No, la soluzione più pulita e politicamente fattibile è la ristrutturazione del debito. Non è certo una soluzione facile: implica che i paesi debitori accettino di trasformare il debito esistente in una valuta più bassa, con obbligazioni meno costose. I possessori delle vecchie obbligazioni - banche straniere in testa - dovrebbero così affrontare una perdita. Questo solleva due grandi problemi: come evitare che una ristrutturazione del debito in Grecia o in Irlanda scateni il panico sul mercato che coinvolge Spagna, Belgio, Italia o gli altri grandi euro-debitori; e come far sì che i paesi debitori tornino in futuro a essere creditori sui mercati dei capitali essendo stati causa di queste perdite.
Per risolvere la questione, la ristrutturazione del debito deve essere robusta. Piuttosto che organizzarla paese per paese, dovrebbe essere offerta ad ogni paese dell’eurozona che abbia un debito superiore ad una certa porzione del Pil, forse il 100 per cento. Ci vorrebbero poi anche delle sanzioni che rendano la cosa poco attraente per gli altri paesi che vogliono diventare membri: per esempio la riduzione del diritto di voto nei consigli Ue, una liberalizzazione rafforzata dei mercati domestici e le privatizzazioni. Qualcosa di simile è stata fatta in America Latina negli anni Ottanta.
Le perdite che una simile soluzione procurerebbe automaticamente alle banche potrebbe costringere i governi nazionali a sostenerle ricorrendo ai soldi dei contribuenti, proprio come avvenuto dopo il crollo di Lehman Brothers nel 2008. Ancora una faccenda controversa - ma almeno questa volta si tratterebbe di banche nazionali salvate dai contribuenti nazionali. È una soluzione che andrebbe applicata anche all’Inghilterra: pur non aderendo all’euro, le sue banche possiedono una larga fetta del debito irlandese, greco e di altri paesi.
È importante che qualcosa di simile si faccia al più presto, prima che i debiti crescano ulteriormente, ma anche prima che ci si possa trovare davanti a qualche altro evento cruciale. Come per esempio la crescita dell’inflazione in Germania. Per il momento l’euro sta aiutando la crescita tedesca. Ma se i bassi tassi di interesse e una valuta poco costosa si mescolano con l’aumento dei prezzi globali di petrolio e generi alimentari per far crescere l’inflazione nel paese, questo potrebbe far diventare selvagge le politiche dell’euro. Ai tedeschi la storia ha insegnato ad aver paura dell’inflazione, per questo essi potrebbero ribellarsi all’euro. Ecco perché la bomba va disinnescata ora e accettato il dolore che provocherà la rinegoziazione del debito e un ulteriore soccorso alle banche europee: l’alternativa è davvero la morte dell’euro.