VARIE, 21 gennaio 2011
SCHEDONE CUFFARO
(aggiornato al 22/1) -
La Seconda Sezione Penale della Cassazione, presieduta da Antonio Esposito, ha confermato la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e per rivelazione di segreto istruttorio inflitta in secondo grado a Salvatore Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia. La condanna è definitiva.
Dopo tre ore e mezza di camera di consiglio la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dai legali dell’ex governatore e ha confermato la tesi dei giudici della Corte d’Appello di Palermo, che avevano ritenuto Cuffaro responsabile di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra e di violazione del segreto istruttorio nell’ambito del processo "talpe alla Dda". Entro cinque giorni a Cuffaro sarà notificato l’estratto della sentenza. L’ex governatore aveva già fatto sapere che sarebbe andato a costituirsi, anche per evitare l’arresto plateale. In passato, dopo la condanna definitiva, l’ex parlamentare Cesare Previti si costituì spontaneamente nel carcere romano di Rebibbia.
Poco dopo la sentenza, Cuffaro ha lasciato la sua casa romana (con lui c’erano il fratello Silvio, la moglie Giacoma e il figlio, la figlia è rimasta a Palermo) con tre carabinieri del Ros che lo hanno portato alla stazione Farnese per la notifica della sentenza. Subito dopo è stato portato a Rebibbia: è entrato nel carcere romano da un ingresso secondario alle 16.35.
Una delle conseguenze della conferma della condanna per Cuffaro, attualmente senatore del Pid (Popolari Italiani Domani), è la decadenza dal seggio di palazzo Madama. L’ex presidente della Sicilia sarà sostituito da Maria Pia Castiglione, 55 anni, anche lei del Pid, numero 6 della lista di candidati Udc in Sicilia, sempre che non sussistano nei suoi confronti cause di incompatibilità. Tutti coloro che la precedono (oltre a Cuffaro, Giampiero D’Alia, Antonello Antinoro, Salvatore Cintolo, Sebastiano Burgaretta Aparo) sono già senatori, europarlamentari o deputati all’assemblea regionale siciliana per opzione da loro in tal senso espressa.
Oltre a confermare la condanna all’ex governatore, la Cassazione ha in pratica confermato tutte le condanne degli altri dieci coimputati. In particolare, la seconda Sezione penale ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’ex manager della sanità privata Michele Aiello, ritenuto l’alter ego del boss Provenzano nell’imprenditoria, condannandolo a 15 anni e 6 mesi per avere ordito una rete di spionaggio che svelava le notizie sulle indagini di mafia. Sette anni, cinque mesi e dieci giorni all’ex sottufficiale del Ros Giorgio Riolo (nei suoi confronti la Cassazione ha dichiarato la prescrizione per due capi di imputazione dichiarando il ricorso inammissibile nel resto). Ricorso rigettato anche per il dirigente della divisione anticrimine della Procura di Palermo Giacomo Venezia (tre anni di reclusione). Diventano inoltre definitive le condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Palermo nei confronti di Antonella Buttitta (sei mesi); quattro anni e sei mesi al radiologo Aldo Carcione; un anno a Roberto Rotondo; nove mesi a Michele Giambruno; quattro anni e sei mesi a Lorenzo Iannì; nove mesi a Salvatore Prestigiacomo; due anni ad Angelo Calaciura.
Ieri (21/1) il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Galati, aveva chiesto per Cuffaro l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna. Se la sua richiesta fosse stata accolta, la Corte d’Appello di Palermo avrebbe dovuto rivedere al ribasso la condanna inflitta all’ex governatore siciliano. Il magistrato aveva chiesto di escludere l’aggravante mafiosa (articolo 7 c. p. p.) nei confronti di Cuffaro, condannato in appello il 23 gennaio 2010 a sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazioni di segreto istruttorio. Senza l’aggravante mafiosa, anche se condannato, per Cuffaro difficilmente si sarebbero aperte le porte del carcere: il reato di rivelazione di segreto è già prescritto, quello di favoreggiamento semplice nei confronti di Michele Aiello andrebbe prescritto ad aprile.
Secondo Galati la Corte d’Appello di Palermo non avrebbe dimostrato che l’ex governatore della Sicilia sapesse che Giuseppe Guttadauro era un mafioso. In pratica, ha spiegato il sostituto procuratore, mancava la prova «di aver voluto favorire il sodalizio mafioso». Da qui l’eliminazione dell’aggravante che aveva fatto lievitare la pena di Cuffaro da cinque a sette anni. Venendo meno l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, per Galati rimaneva in piedi solo il reato del favoreggiamento semplice per due episodi risalenti al 2001, ovvero le informazioni che Totò Cuffaro avrebbe riferito al boss di Brancaccio Guttatauro attraverso il suo uomo di fiducia, Mimmo Miceli, amico di partito di Cuffaro. In particolare, Guttatauro sarebbe stato avvisato della presenza di una microspia nel salotto di casa sua. La fonte di Cuffaro è stata individuata in alcuni collaboratori infedeli della Procura di Palermo in contatto con il manager della sanità privata Aiello. Per il procuratore generale era invece da rigettare il ricorso presentato dalla difesa di Cuffaro in merito al favoreggiamento nei confronti di Aiello. Cuffaro, insomma, secondo l’accusa, aveva favorito solo un imputato, Aiello, poi condannato per mafia, non l’intera Cosa Nostra.
La trattazione della causa è stata molto complessa, di livello otto su una scala di valutazione che arriva a dieci. Se la tesi del Pg Galati fosse stata accolta, per Cuffaro sarebbe rimasta una pena di circa quattro anni, in buona parte coperta dall’indulto.
Nino Mormino, uno dei due avvocati che ha difeso in Cassazione l’ex presidente della Sicilia, dopo la richiesta del Pg Galati, aveva detto: «Siamo parzialmente soddisfatti della requisitoria del Pg della Cassazione. Daremo battaglia fino alla fine con tutti i nostri motivi di ricorso, non solo su quelli relativi all’aggravante mafiosa: ma il giudizio del Pg, che ha ritenuto inesistente il favoreggiamento a cosa nostra, è già un bel risultato». Dopo la lettura della sentenza l’altro legale, Oreste Domignoni, ha commentato: «È una sentenza che desta stupore e rammarico anche perché, ieri, la Procura della Cassazione, con una richiesta molto argomentata, aveva chiesto l’annullamento dell’aggravante mafiosa per l’episodio di favoreggiamento ad Aiello, richiesta che se accolta avrebbe sgonfiato del tutto la condanna».
Medico radiologo, 52 anni, sposato con Giacoma Chiarelli (conosciuta all’università, ora docente di Malattie dell’apparato cardiovascolare alla facoltà di Scienze motorie dell’università di Enna), due figli (Ida ed Emanuele). Asilo dalle suore collegine, medie e superiori dai Salesiani, Cuffaro è molto religioso (a Roma ha fatto la Scala santa in ginocchio più di una volta, è stato in pellegrinaggio a Fatima, Lourdes, Medjugorje ecc.)
Presidente della Regione Sicilia dal 24 giugno 2001 (la prima volta, contro Leoluca Orlano, è eletto con un milione e mezzo di voti; la seconda, il 28 maggio 2006, batte Rita Borsellino con il 53% delle preferenze) al 26 gennaio 2008, giorno in cui si dimise dopo essere stato condannato in primo grado a cinque anni per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Gianantonio Stella l’ha soprannominato "Totò Vasa Vasa" per l’abitudine di baciare i suoi elettori e di accarezzare le pance delle elettrici incinte. Nel 2008 è eletto senatore dell’Udc, partito che ha superato la soglia dell’8% per entrare in Senato soltanto in Sicilia. Oggi, lasciato il partito di Casini, è senatore del Pid, Popolari Italiani Domani.
L’ex governatore siciliano era stato rinviato a giudizio con l’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra il 2 novembre 2004. A chiamare in giudizio Cuffaro, in quello che poi sarebbe diventato il processo "talpe alla Dda", erano stati il procuratore Piero Grasso, l’aggiunto Giuseppe Pignatone e i sostituti Michele Prestipino, Maurizio De Lucia e Nino Di Matteo, poi uscito dai banchi dell’accusa alla vigilia della requisitoria per contrasti con i colleghi. Il presidente siciliano avrebbe informato, attraverso l’intercessione dell’ex assessore comunale dell’Udc Domenico (Mimmo) Miceli, il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro del fatto che nella sua abitazione ci fossero microspie istallate dagli investigatori del Ros, bruciando di fatto l’indagine. Cuffaro avrebbe saputo delle microspie dall’ex maresciallo dei carabinieri Antonio Borzacchelli, poi eletto deputato regionale. Ad incastrare l’ex presidente della Regione sono stati anche gli incontri avuti, nel retro di un negozio di Bagheria, con il magnate della sanità siciliana Michele Aiello, imputato nello stesso processo e ritenuto vicino a Bernardo Provenzano.
[Mentre, nell’estate del 1999 Giuseppe Guttadauro, medico chirurgo all’ospedale Civico di Palermo e condannato nel processo "Golden Market" come reggente della famiglia mafiosa di Roccella, era in carcere, i carabinieri del Ros piazzarono nella sua casa di via De Cosmi, nel centro di Palermo, otto microspie, convinti che il boss non si sarebbe aspettato di essere monitorato con tanto anticipo. A sistemare le cimici fu un maresciallo esperto in questo ramo, Giorgio Riolo. Alla fine del 2000 Guttadauro fu scarcerato in anticipo, per buona condotta: temendo nuove indagini blindò il suo appartamento e decise che lui o uno dei suoi familiari, la moglie Gisella Greco e il figlio Francesco, avrebbero sempre dovuto restare in casa per evitare "sorprese". Ma "le sorprese", le cimici, c’erano già e permisero ai carabinieri di ascoltare molte conversazioni.
Guttadauro riceveva in casa due suoi ex allievi medici della terza divisione di Chirurgia del Civico: Domenico Miceli e Salvatore "Salvo" Aragona. Il primo faceva politica attiva nel Cdu, il secondo era stato già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Con loro Guttadauro parlava di politica, di candidature, di concorsi per medici e per posti di primario ma anche di 41 bis e di ergastolo. Si parlava pure di Cuffaro, all’epoca in procinto di candidarsi alla presidenza della Regione. Guttadauro cercava un contatto con lui, e, secondo l’accusa, Miceli, aspirante deputato regionale, aveva accettato, assieme ad Aragona, di fare da intermediario.
Gli ascolti a casa Guttadauro cessarono improvvisamente il 15 giugno 2001: tre giorni prima, Aragona era andato a casa del capomafia da solo e lo aveva messo in guardia da intercettazioni telefoniche che sarebbero state fatte tra lo stesso Guttadauro e Miceli. «A lui - specificò Aragona - glielo ha detto Totò», che per gli inquirenti sarebbe Cuffaro. Tre giorni dopo il boss trovò una microspia nell’abat-jour del salotto e la distrusse.
Miceli, nelle elezioni che si tennero pochi giorni dopo, il 24 giugno, non ottenne il seggio all’Ars. Venne eletto il maresciallo Antonio Borzacchelli, candidato nel Biancofiore, lista satellite del Cdu di Cuffaro. Ros e Procura cercavano intanto di capire l’origine della fuga di notizie. Due anni dopo, il 26 giugno 2003, sulla base delle intercettazioni e degli sviluppi delle indagini, vennero arrestati per mafia Miceli, Aragona e Vincenzo Greco, cognato di Guttadauro. Cuffaro fu raggiunto da un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il 5 novembre 2003 furono arrestati l’imprenditore Michele Aiello, titolare di importanti cliniche a Bagheria, la Diagnostica Villa Santa Teresa e l’Atm (Alte tecnologie medicali), e due marescialli, uno della Dia, Giuseppe Ciuro, l’altro del Ros, Giorgio Riolo, proprio l’uomo che aveva piazzato la microspia a casa Guttadauro. Sarà lui, dopo una serie di interrogatori, ad ammettere di avere rivelato ad Antonio Borzacchelli la presenza della cimice nell’abat-jour, e a consentire alla Procura di scoprire il presunto passaggio a catena della notizia segreta: da Riolo a Borzacchelli, da questi a Cuffaro e dal candidato presidente a Miceli, che a sua volta lo avrebbe detto ad Aragona, poi andato da Guttadauro. Non è la sola fuga di notizie dell’inchiesta attribuita a Cuffaro: secondo gli inquirenti avrebbe informato Aiello, tra il 20 e il 31 ottobre 2003, che i suoi informatori, Ciuro e Riolo, erano stati smascherati. Con telefonate criptiche, convocazioni alla presidenza della Regione di un collaboratore di Aiello, Roberto Rotondo, Cuffaro fissò un appuntamento e incontrò l’imprenditore nel negozio di abbigliamento Bertini di Bagheria, a pochi chilometri da Palermo].
Il processo di primo grado a carico di 12 imputati e due società inizia il primo febbraio 2005. Dopo tre anni di dibattimento, il 18 gennaio 2008, Cuffaro fu condannato a cinque anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per favoreggiamento semplice: cade la contestazione dell’aggravante mafiosa che Piero Grasso e Giuseppe Piagnatone avevano chiesto. Per questo, dopo la sentenza Cuffaro festeggiò con un vassoio di cannoli a palazzo d’Orleans. (Il presidente aveva convocato i giornalisti per una conferenza stampa e fu immortalato mentre prendeva la guantiera dei dolci, inviatagli per confortarlo da un pasticciere suo amico. Quella fotografia finì sulla prima pagina di tutti i giornali e Cuffaro fu fortemente criticato perché festeggiava dopo essere stato condannato. Lui tentò di spiegare che non c’era nessuna festa e che stava solo spostando il vassoio per far posto ai giornalisti).
Il processo d’appello si aprì il 15 maggio 2009 e si concluse il 23 gennaio 2010: Cuffaro è condannato a sette anni di reclusione per aver rivelato notizie riservate, favoreggiamento di singoli mafiosi, con l’aggravante di aver voluto aiutare tutta l’organizzazione mafiosa (articolo 7 c.p.p.).
A ottobre 2009 è stato notificato al senatore un nuovo avviso di conclusione indagini per concorso esterno in associazione mafiosa: i magistrati affermano che sia stato appoggiato dalla Mafia sin dai primi anni Novanta. Questo processo, con rito abbreviato, riprenderà il prossimo 3 febbraio (la procura ha chiesto dieci anni di reclusione. La richiesta è comprensiva dello sconto di un terzo della pena previsto per il rito abbreviato). Tra le vicende oggetto di questo processo, noto come «Cuffaro bis», quella delle candidature di Mimmo Miceli e Giuseppe Acanto, detto Piero, nelle liste del Cdu e del Biancofiore alle elezioni regionali del 2001. Entrambi, secondo l’accusa, furono sponsorizzati da Cosa nostra e Cuffaro per questo motivo li accettò come candidati nelle liste a lui collegate. Durante l’ultima udienza (17 gennaio 2011) i legali di Cuffaro (Antonino Mormino, Oreste Dominioni, Marcello Montalbano, Nino Caleca) hanno chiesto per il loro assistito il non luogo a procedersi: l’ex presidente della Sicilia sarebbe già stato giudicato per gli stessi capi d’imputazione nell’ambito del processo sulle talpe della Procura di Palermo.
A maggio 2009, infine, la Corte dei Conti e la Procura di Palermo hanno messo sotto inchiesta Raffaele Lombardo e Toto Cuffaro per aver assunto nell’ufficio stampa della Regione 23 giornalisti con la carica di capo- redattore. Il danno erariale è stimato in quattro milioni di euro.
In attesa del verdetto, sia ieri pomeriggio sia questa mattina dalle 9 all 12, l’ex presidente della Sicilia è andato a pregare nella Chiesa della Minerva fra il Senato e in Pantheon, a due passi dalla sua casa romana.