Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 21/01/2011, 21 gennaio 2011
LA STORIA AL FEMMINILE
Sul treno che la portava verso Roma, nella primavera del 1943, Ludmilla Helga Siersch fece uno strano sogno: «Mi trovavo su un treno e di fronte a me stava seduta una signora alta e snella, vestita in stile ottocentesco, con un cappello e un leggero velo annodato sotto il mento. La signora mi fissava a lungo, poi togliendosi il velo, scopriva il volto. Pareva la nonna: era giovane e bellissima, non ancora disfatta dalla disperazione, come l’avevo vista invece l’ultima volta a Vienna. Sorridendomi, mi diceva: "Stai tranquilla, non ti angosciare per me. Tu purtroppo devi ancora soffrire tanto; ma sappi che io veglierò sempre su di te. E ricorda, te l’ho già detto tante volte: non inghiottire mai la melma trascinata. Io ti aiuterò sempre ad alzarti e a tirarti fuori dal fango, ma tu non fartene mai sporcare"» . Ludmilla, detta Milly, che a quel tempo aveva ventiquattro anni, non sapeva ancora che la nonna Wilma, affascinante, bellissima animatrice di uno dei più prestigiosi salotti intellettuali viennesi del primo Novecento, era già morta nel campo di concentramento dove era stata rinchiusa dai nazisti. Milly si era salvata scappando prima a Berlino e poi in Italia. Da Roma, dove aveva trovato rifugio negli anni in cui l’Europa bruciava sotto la guerra, non si allontanò mai più. Oggi, a novantuno anni portati con insolita leggerezza, racconta in un libro la sua storia e quella della sua famiglia, dove predominano le figure femminili: dalla bisnonna Charlotte ebrea ungherese, alla nonna Wilma ebrea viennese, alla mamma Fortunée ebrea turca. Quindi anche Milly, in base alle leggi razziali, pur avendo come padre un ufficiale austriaco e ariano, era considerata una «mezza ebrea» e in quanto tale perseguibile. Il volume, intitolato «Addio Vienna» (Fazi editore), arriva in libreria domani, alla vigilia della «Giornata della Memoria» . Con la prefazione di Mario Monicelli. «Amico di una vita -dice Milly -da quando fu testimone al mio secondo matrimonio con Baccio Bandini, oltre mezzo secolo fa» . Monicelli, e insieme a lui Steno, De Feo, Age e Scarpelli, li aveva conosciuti lavorando nel dopoguerra come costumista a Cinecittà. Ma questa è un’altra storia, che Milly si accinge a raccontare in un secondo volume, appena iniziato. Il primo termina all’alba del 23 ottobre 1948, quando partorisce sua figlia Michela. E comincia nel 1922, quando Milly aveva tre anni e Vienna era la sua città. Oggi, di quel periodo le restano un mucchietto di fotografie. Ecco la nonna Wilma, dama della corte asburgica: «Alta, con un portamento da regina, capelli di color Tiziano, occhi molto espressivi e mani splendide, tanto che lo scultore Auguste Rodin ne fece un calco» . Al contrario, la madre Fortunée era «di statura più bassa e assomigliava molto al padre, turco, che la nonna aveva conosciuto all’ambasciata e da cui poi si era separata, caso unico nella Vienna di quel periodo. Dal padre, Fortunée aveva preso moltissimo: non solo i riflessi blu dei capelli neri che le cadevano fino alla vita, ma anche un certo modo eccentrico di vivere che la portava ad indossare abiti stravaganti, fumare il narghilé e tenersi in casa un enorme serpente. Fu tra le prime donne ad iscriversi al partito socialista» . Milly e la madre vivevano, insieme alla bisnonna Charlotte vedova da molti anni, in una palazzina a tre piani: «L’unica proprietà che le era rimasta, avendo perduto immensi patrimoni al gioco dei cavalli» . Nella palazzina accanto abitava Sigmund Freud, di cui Fortunée era molto amica. Lo incontrarono, a casa sua, per l’ultima volta nel 1938. «Mia madre mi chiese di accompagnarla. Era venuta a sapere che, sebbene molto malato, si stava preparando a partire per Londra. Io non lo vedevo da anni e ritrovandolo così vecchio mi venne in mente un momento felice della mia infanzia, quando la mamma mi portava con sé in quella stessa casa e lui mi teneva sulle ginocchia. Adesso, guardandomi dritto negli occhi, mi disse: "Il fatto che come ebrea troverai tutto più difficile, come è successo a tutti noi, potrà avere l’effetto di rendere più salda la tua personalità. E col tempo imparerai anche a sopportare un certo grado di ingiustizia"» . Milly fu l’unica di questa famiglia di donne a salvarsi dalle deportazioni. Il modo rocambolesco in cui ci riuscì lo racconta nel libro, senza tralasciare i particolari più scabrosi. Anche i primi anni romani sono pieni di avventure: dall’amore cieco per un principe mascalzone all’arresto da parte degli inglesi, dopo la Liberazione, con l’accusa di collaborazionismo con i tedeschi, fino ai nove mesi di internamento nel campo di Padula. Ancora oggi tuttavia rimpiange la sua prima abitazione, un piccolo attico a palazzo Marescalchi, all’angolo tra via Tomacelli e ponte Cavour, dalle cui finestre si vedeva a perdita d’occhio tutta la città, da Trinità dei Monti a San Pietro; e in mezzo il Tevere che scorreva lento.
Lauretta Colonnelli