FRANCESCO LA LICATA, La Stampa 21/1/2011, pagina 1, 21 gennaio 2011
Little Italy è ancora al comando - Sembrano uscite da un documentario degli Anni Ottanta le notizie che rimbalzano dagli Stati Uniti sulla megaretata antimafia eseguita dai federali in un vasto territorio, tradizionalmente occupato dalla Cosa nostra siculo-americana
Little Italy è ancora al comando - Sembrano uscite da un documentario degli Anni Ottanta le notizie che rimbalzano dagli Stati Uniti sulla megaretata antimafia eseguita dai federali in un vasto territorio, tradizionalmente occupato dalla Cosa nostra siculo-americana. I nomi sono sempre quelli: Bonanno, Gambino, Lucchese, Colombo, Genovese. Gli stessi che hanno fatto la storia della grande mafia, arrivata dalla Sicilia all’inizio del secolo scorso e lì insediatasi perfettamente. Aquesti «protagonisti» si aggiungono i De Cavalcante del New Jersey, una famiglia che negli ultimi anni sembra avere assunto il ruolo di effettiva cerniera con la Cosa nostra siciliana. Un ruolo quasi di coordinamento tra due realtà ormai lontane seppure accomunate da vincoli di sangue. Certo, basta dire Gambino per offrire il «meglio della tradizione», ma non sempre il tempo riesce a tenere saldi certi legami, anche perché spesso il salto generazionale non riesce proprio benissimo. E così, non più di qualche anno fa, abbiamo potuto «apprezzare» (grazie ad indagini e a colloqui rubati) i consigli dei De Cavalcante che prospettavano ai «paisà» siciliani la necessità di un arruolamento in massa di giovani provenienti dalla «casa madre» (la provincia sicula) per rimediare alla penuria di «vocazioni» che affligge la Cosa nostra americana. Ecco, il meccanismo non cambia facilmente e perciò non commettiamo l’errore di guardare con sufficienza agli sforzi compiuti dai giudici e dalle polizie dei due Paesi, cedendo alla tentazione di liquidare queste vicende come «già viste». Proprio la ripetibilità delle strategie mafiose è la loro forza: accade in Italia, è accaduto prima, così come accade negli Usa. Ci sono trame che si ripropongono periodicamente. Prendiamo l’atteggiamento delle autorità americane rispetto alla lotta alle mafie. Colpisce la forza e il dispiegamento di uomini e mezzi delle ultime ore. E’ una delle più grosse operazioni messe in campo dopo l’11 settembre. Un paio d’anni fa era stata la polizia italiana ad offrire spunti e collaborazione per perseguire il gruppo che fa capo a Frank Calì (una vera potenza economica), finito in una storia tutta italiana. Oggi è l’Fbi della gestione Obama a riprendere la lotta, prima indebolita proprio dalla necessità di concentrare tutti gli sforzi sul fronte della battaglia al terrorismo islamico. Qualcosa del genere era avvenuto anche in Italia, quando la lotta alla mafia fu completamente abbandonata (Anni Settanta e Ottanta) per far fronte ai colpi destabilizzanti dei terroristi rossi e neri. Fu necessario lo scempio di Capaci e via D’Amelio, e poi le bombe del ’93, perché lo Stato riaprisse gli occhi. Cosa ci dice la megaoperazione dei federali? Ci consegna, sorprendentemente, un quadro simile a quello italiano. I boss sembrano esercitare, a New York e nelle altre «sedi sociali» d’oltreoceano, ruoli e attività molto simili a quelli esercitati dai capimafia a Palermo, come a Trapani o ad Agrigento. Prendiamo le accuse mosse dai federali: omicidi, racket ed estorsioni. Sono le imputazioni che continuano a trascinare nelle aule di giustizia italiane criminali del calibro di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, del giovane Nicchi, che negli Stati Uniti andava spesso, e di tanti altri boss. Agli americani contestano anche la prostituzione, attività che in Sicilia - dove i costumi sono più castigati - continua ad essere proibita agli «uomini d’onore». Ma il senso pratico americano, anche quello mafioso, si fa ragione della «morale» e così anche il mafioso può gestire il racket della prostituzione e persino lo strozzinaggio, altra attività tabù in Sicilia, dove il consenso popolare non può essere messo in discussione dalla più odiosa delle estorsioni. E ancora un’altra cosa ci dicono le notizie provenienti dagli Usa: strumento irrinunciabile di indagini sono le testimonianze dei collaboratori di giustizia e le intercettazioni telefoniche ed ambientali. Anche nella patria della libertà assoluta e della difesa strenua della privacy. La vita privata dei boss non è difendibile «a qualunque costo»: il limite è rappresentato dal danno che la privacy mafiosa produce nella società civile.