GINO CASTALDO , la Repubblica 20/1/2011, 20 gennaio 2011
VAN DE SFROOS "IO CANTO LUMBARD"
La strada si chiama via Don Abbondio, a pochi chilometri hanno giustiziato il Duce, e la piazzetta del bar Magnolia (davanti a una gigantesca magnolia vecchia di 250 anni) dove incontriamo Davide Van de Sfroos è quella dove un tempo si ritrovavano contrabbandieri e pescatori di lago. «Qui ci sono cresciuto», racconta Davide Bernasconi, alias Van De Sfroos che in dialetto tremezzino, o laghée, vuol dire "vanno di frodo", «lì al secondo piano, proprio sopra il bar, è stata una bella scuola, e in fondo le storie che racconto partono da qui». Il lago di Como alle spalle è un incanto, incroniato dalle montagne innevate che portano in Svizzera. Il cantautore, un vero fenomeno della nostra canzone d´autore, amatissimo, uno che all´ultimo concerto a Milano ha richiamato 11 mila fan, arrivati perfino da Avellino, vanta un record: canterà in dialetto del nord ed è la prima volta al festival.
Come è potuto succedere?
«Semplice, premesso che io il festival l´ho sempre visto con simpatia, l´anno scorso hanno tolto questo impedimento dei dialetti. Morandi e Mazzi sono venuti fin qui, e mi è sembrata l´occasione giusta. Poi quest´anno ci sono Vecchioni, i La Crus, Battiato, insomma mi sento in buona compagnia. Avevo questa canzone. A loro è piaciuta subito».
La canzone, "Yanez", parla di vecchi eroi salgariani proiettati come buffi e patetici eroi nella riviera romagnola. Da dove arriva?
«Da mio padre. Lui ci ha sempre portati in vacanza a Cesenatico, dove vado tuttora, e quindi ho sempre visto questi personaggi di riviera un po´ malmessi, ma a loro modo gloriosi che sembrano portare le tracce di antiche gesta eroiche. Mio padre era fissato con Salgari. Il fulcro è che io sono un menestrello, un cantastorie e come tale sono abituato a raccontare qualcosa che tende a rispettare i particolari, andando avanti e indietro nel tempo senza preoccuparsi della struttura tradizionale della canzone, che spesso punta al ritornello facile, alla rima. Io invece setaccio il territorio, la terra che percorro. Quindi arriviamo al festival con una storia, anche surreale, perché sono pirati della Malesia imprigionati nella riviera, ma anche realistica, e per questo il dialetto è fondamentale».
Il dialetto, appunto. La canzone non è poi così incomprensibile. Ma è pur sempre in un dialetto poco frequentato. Cosa farà, metterà i sottotitoli?
«Ma io spero di no, credo che in fondo si capisca, e poi casomai preferirei dare volantini con la canzone tradotta in tutti i dialetti italiani, così ognuno può ritrovare il suo».
Lei sa bene, però, che a Sanremo basta niente per sollevare polveroni. E una canzone in dialetto lombardo, aggiunto a una sua presunta vicinanza alla Lega...
«È una vecchia storia, che non ha fondamento. Poi se quelli che sono vicini alla Lega sono contenti che il dialetto arrivi al festival e faranno il tifo, mi sembra anche abbastanza naturale, e mi va benissimo, io sono italiano e ho sempre girato l´Italia dappertutto e sono sempre stato ben accetto, in modo anche inaspettato, non che pensassi che mi sparassero, casomai che non suscitassi interesse, e invece ho sempre verificato che in Italia c´è una voglia occulta di conoscere la diversità, di unirsi attraverso le cose naturali. E comunque a volte la Lega mi ha invitato a suonare le cose mie, io sono andato, così come sono andato alle feste de l´Unità o dai giovani di An, ma sono stati corretti perché hanno sempre riconosciuto la mia non appartenenza a una parte politica. Ho amici a Radio Popolare, dovunque, quando ho fatto il tutto esaurito al Forum di Assago, c´erano anche i pullman che venivano da Avellino, e ho indossato la felpa dei "lupi". Io sono nato libero, e vorrei rimanere tale. Non sono mai stato un politico, sono un antropologo, affezionato allo sciamanesimo, al potere della terra, e nei miei concerti canto anche pezzi sardi, salentini, calabresi».
La scelta di cantare "W l´Italia" nella serata dedicata all´anniversario dell´Unità, è anche una riposta a questo?
«Pensate se avessi dovuto cantare Va pensiero o Bella ciao, cosa sarebbe successo. Ma anche se avessi cantato O surdato ‘nnamurato avrebbero sicuramente detto: ecco lo obbligano per fare par condicio. In realtà la scelta è stata casuale, nel senso che era libera e mi è stata proposta, e io ho accettato di buon grado, perché ero reduce da un duetto con De Gregori, mischiando Generale e la mia Sciur capitan, e poi è una canzone che ho sempre amato, e purtroppo come profezia è rimasta attuale. Quelli che l´hanno vista semplicisticamente, come pro-Italia o anti-Italia non hanno capito che è una canzone a doppio taglio, complessa, per niente didascalica, che dice cose controverse e proprio per questo è bella. Io fondo mi sento di tifare un´Italia tutta intera, mi sento come l´ultimo garibaldino, giro il paese per unire, non per dividere, e se così non fosse non sarei così accanito nella voglia di far conoscere al resto d´Italia le caratteristiche della mia terra. Noi non siamo fatti di verità assolute, siamo fatti di storie».