RENATO CAPRILE , la Repubblica 20/1/2011, 20 gennaio 2011
TUNISIA, LIBERATI TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI - TUNISI
«Ben Ali se n´è andato in Arabia Saudita, che ci vada anche questo governo». La piazza continua a urlare parole d´ordine che non sembrano lasciare scampo a Ghannouchi. A migliaia anche ieri hanno manifestato a Tunisi come in tutte le principali città del paese contro un governo del quale non si fidano, inquinato com´è da troppe figure del passato. Le timide "aperture" promesse non bastano. Non sono la soluzione del problema. Va bene l´aver liberato ieri tutti i prigionieri politici, compresi gli islamisti di Ennahda, aver aperto un´inchiesta sulle ruberie di Ben Ali e della famiglia dell´odiata prima signora di Tunisia, aver arrestato (sempre ieri) 33 membri del clan del presidente con in possesso gioielli e ingenti quantità di oro. O aver bloccato le carte di credito internazionali per evitare ulteriori fughe di capitali sospetti all´estero, ma non è sufficiente. Ci vuole dell´altro e di più. Ma ciò che la gente chiede è forse ciò che il primo ministro non può concedere: la totale messa al bando dell´Rcd, la creatura del dittatore, l´onnipotente partito unico che vantava due milioni e mezzo di iscritti, da cui lo stesso Ghannouchi si è chiamato fuori, ma che continua a controllare polizia, esercito ed economia.
Fare i conti con la democrazia dopo 23 anni di potere assoluto sta diventando un´impresa impossibile per un governo che ha già perso cinque dei 19 ministri prima ancora di essersi riunito una sola volta. Non si spara più, è vero, la sicurezza migliora, diminuiscono le ore di coprifuoco, dalle 22 alle 6 del mattino, ma lo stallo politico continua. E questo stato di cose fa temere il peggio. Le voci di un imminente colpo di mano da parte dell´esercito, o di una parte di esso, infatti non si placano.
Ieri il presidente tunisino ad interim, Foued Mebazaa si è impegnato, in un solenne discorso in diretta tv, a compiere una totale rottura con il passato, a favorire la netta separazione tra Stato e partito, quell´Rcd, che continua a essere simbolo di corruzione e repressione. «Affinché - ha concluso Mebazaa - si realizzino le aspirazioni della rivoluzione della dignità e della libertà», che ha posto fine al regime sanguinario di Ben Ali. A conferma della precarietà del nuovo corso, il ministro degli Esteri, Kamel Morjane, ex fedelissimo del tiranno, ha dovuto lasciare precipitosamente il vertice economico arabo di Sharm el Sheik in Egitto. Per calmare gli animi la Procura tunisina ha annunciato di aver avviato un´inchiesta sui beni dell´ex presidente e dei suoi parenti e congiunti, inclusi i Trabelsi, la famiglia della moglie Leila e i generi. Da Riad intanto il governo saudita ha chiarito che fino a quando Ben Alì sarà loro ospite a Gedda gli è preclusa ogni attività politica legata alla Tunisia. Si stringono anche i rubinetti finanziari per l´ex capo di Stato. Dopo la Francia anche la Svizzera ha congelato i suoi conti correnti.
Grazie all´Onu c´è un primo, provvisorio bilancio delle morti sospette di questa rivolta di popolo. Sarebbero più di cento di 100 le persone rimaste uccise nelle violenze in Tunisia nelle ultime cinque settimane. «Una cifra verosimile», conferma Denis Robiliard a capo della delegazione di Amnesty International giunta a Tunisi venerdì scorso proprio per raccogliere informazioni e testimonianze su omicidi e repressione durante i giorni della protesta.
Comunisti, islamici moderati, indipendenti sembrano in questo momento tutti dalla stessa parte. Sono loro infatti ad affollare, prima che la polizia antisommossa li disperda coi lacrimogeni, quotidianamente il centralissimo viale Bourguiba. «Non molleremo», promettono. La loro richiesta è di un governo di salvezza nazionale del quale facciano parte tutti, tranne quelli compromessi col regime, che riscriva la Costituzione e tempo sei mesi porti il paese a nuove, libere, democratiche elezioni.