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 2011  gennaio 20 Giovedì calendario

LA PAURA DEL CONTAGIO TRAVOLGE LA SPONDA SUD

Alla voce Sidi Bouzid la guida Rough avverte che «è una città notoriamente monotona», senza interesse. Credo che dovranno aggiornarla: qui, davanti alla prefettura, il 17 dicembre, si è dato fuoco per protesta Mohammed Bouazizi, 26 anni, innescando una rivolta che ha cambiato la storia della Tunisia dopo un quarto di secolo di dittatura. Bouazizi non è morto subito. Il presidente Ben Alì, quando ormai dilagavano le manifestazioni, si è fatto riprendere accanto al letto di Mohammed, completamente fasciato per le ustioni come un martire.

Per la Tunisia e gli arabi questo è diventato il corpo dell’eroe per la libertà davanti al dittatore: anche i simboli contano per capire la caduta repentina di un leader che progettava la quinta rielezione nel 2014, a 79 anni.

Nella foto Ben Alì appariva un uomo in declino che scrutava il suo destino cercando tra le fessure delle bende gli occhi del giovane moribondo. La visita ha peggiorato la situazione perché quell’immagine era un’istantanea crudele e desolante sulla frattura tra un potere che si crede eterno e la società. Il nome di Mohammed adesso fa paura ai regimi arabi. In Occidente viene affiancato a Ian Palach, che a Praga nel ‘68 s’immolò nel fuoco contro l’invasione sovietica. La rivolta tunisina è paragonata a quella di Danzica che anticipò il crollo del Muro: anche ai tempi di Solidarnosc era difficile immaginare la fine dell’Impero Rosso.

L’"effetto Danzica" è evocato con timore e speranza: se si propagasse, che cosa accadrebbe in un mondo arabo di leader senescenti aggrappati al potere fino all’ultimo respiro? All’improvviso il contagio, come la peste di Camus, potrebbe aprire il vuoto nelle caselle di una geopolitica scontata. Una voragine dove gli integralisti – questa è la grande paura – si potrebbero infilare agevolmente. Dalla Libia di Gheddafi (69 anni) all’Egitto di Mubarak (80), dall’Algeria di Bouteflika (75 anni) alla Siria del giovane Assad, dalla monarchia saudita agli Emiri del Golfo, siamo davanti a una sfilata di regimi, più o meno autocratici e corrotti, che hanno molto da temere dai movimenti popolari. Tanto più che ormai bastano Internet e Facebook come arma quasi letale.

I leader della sponda Sud, assai vezzeggiati per la lotta all’islamismo, hanno reagito alla rivolta di Tunisi con toni irritati. Il Colonnello Gheddafi si è persino diffuso in lodi sperticate del defunto regime: anche a lui, nonostante le sollecitazioni del figlio Seyf, si sono anchilosati i riflessi come a Ben Alì? Le torce umane però continuano a bruciare nel Maghreb, soprattutto in quell’Algeria già devastata dallo scontro tra generali e integralisti.

Questa è una storia che può durare un mese, un anno o dieci. I regimi arabi insistono nel parlare di “caso tunisino”, sottolineando che i suicidi rimarranno episodi isolati dettati dall’emozione del momento. Può darsi. Ma l’impressione è che gli stati sorti dalla decolonizzazione stiano mostrando la corda, con sistemi illiberali inadeguati ai mutamenti sociali e demografici.

Prima o poi dovranno affrontare la domanda di Mohammed esplosa con un gesto disperato di rivolta dalla Tunisia profonda e più dimenticata: cosa fate per noi, per le nostre speranze?