Daniela Roveda, il Sole 24 Ore 20/1/2011, 20 gennaio 2011
LA BEVERLY HILLS CHE PARLA MANDARINO
Sul banco del macellaio del supermercato Shunfat a Monterey Park, 15 minuti di autostrada dal centro di Los Angeles, troneggia una montagnetta di uteri di maiale, rara prelibatezza nella cucina cinese. Da Shunfat si trovano anche sacchetti di sangue coagulato per fare la minestra, intestini di pesce, nasi di maiale, zampe di gallina e migliaia di scatolette e lattine misteriose per chi non conosce il cinese.
Da Shunfat fanno la spesa le ricche signore della cosiddetta "Beverly Hills cinese", ed è difficile trovare fiocchi d’avena, yogurt, spaghetti o prodotti comuni in un supermercato californiano: a guardarsi in giro non c’è nemmeno una scritta in inglese, tutti i negozi, le banche, le agenzie immobiliari hanno nomi cinesi scritti in caratteri cinesi. Un fatto curioso per una città di 60mila abitanti con un nome spagnolo, sorta sui terreni posseduti orginariamente dall’italiano Alessandro Repetto.
Oggi Monterey Park è la città americana con la più alta percentuale di cinesi, il 62 per cento. I messicani che la popolavano quando al posto delle ville c’erano agrumeti e campi di patate sono ridotti al 10%, i bianchi che erano arrivati in massa durante il boom economico del dopoguerra sono il 20 per cento. Chiamarla Chinatown non le fa giustizia: a differenza degli affollati e sporchi quartieri delle grandi città come New York, San Francisco o Los Angeles, Monterey Park è una città a tutti gli effetti, con un municipio, scuole, condomini, un giornale, caffé, ristoranti, tintorie, meccanici, librerie e nemmeno un negozio di souvenir con ombrellini di carta e petardi per i turisti.
Monterey Park è letteralmente la creazione di un intraprendente imprenditore edile nato a Hong Kong, Frederic Hsieh, che alla fine degli anni 70 decise di creare una comunità residenziale per i ricchi commercianti e professionisti emigrati da Hong Kong verso gli Stati Uniti. Hsieh mise inserzioni pubblicitarie a tappeto sulla stampa di Hong Kong, decantando le bellezze di Monterey Park, la vicinanza a Los Angeles, il clima mite della California, e soprattutto un ambiente accogliente e confortevole per una popolazione di immigranti spaventati dallo shock culturale. Per vivere bene a Monterey Park infatti non c’è bisogno di parlare una parola di inglese.
I milionari di Hong Kong iniziarono a fioccare qui con sacchi pieni di contanti, li seguirono i taiwanesi e di recente i cinesi di Shanghai e Pechino. Ne arrivarono talmente tanti da non starci più, e iniziarono così a popolare le città vicine: oggi a San Marino i cinesi sono il 40%, ad Arcadia il 34%, a San Gabriel e ad Alhambra il 33%, a Rosemead il 30 per cento. Nelle 40 città della San Gabriel Valley, un’area di 2 milioni di abitanti a est di Los Angeles, i cinesi sono almeno il 30% della popolazione, la più alta concentrazione di cinesi negli Stati Uniti.
È nella San Gabriel Valley che oggi i businessmen cinesi in viaggio d’affari in California alloggiano e gestiscono i loro commerci. A Monterey Park come ad Alhambra si sentono a casa, mangiano come a casa, parlano come a casa, vanno a trovare amici e parenti come a casa. Anzi i legami di parentela tra i cinesi della California e i cinesi della Cina sono fondamentali per spiegare il fiorire delle attività commerciali tra Cina e California. Il 36% del volume di scambi tra Cina e Stati Uniti passa per i porti di Los Angeles e Long Beach, questa è una destinazione privilegiata per gli investimenti diretti cinesi (la società di pannelli solari e auto elettriche Byd, per esempio, ha appena aperto la sua filiale americana a Los Angeles e conta di creare 2000 posti di lavoro entro tre anni), è il luogo naturale per le filiali di banche cinesi che finanziano le attività imprenditoriali degli immigranti negli Usa.
L’avanzata dell’onda cinese è tale che il tentativo di arginarla, fatto negli anni 80 su iniziativa dell’italoamericano Frank Arcuri per imporre l’inglese come lingua ufficiale, oggi fa sorridere. Di italiano a Monterey Park è rimasta solo la Pizzeria Bollini. Una ricerca sul sito Topix.com invece annuncia: "Sorry, il numero di business italiani a Monterey Park è pari a zero".