Fabio Ferzetti, Il Messaggero 18/1/2011, 18 gennaio 2011
L’UOMO E LA LEGENDA
SE non fosse un film sarebbe un poema eroico raccontato da un coro di voci. Se non fosse una storia di cinema e di set sarebbe la saga di una grande dinastia industriale che non produce tessuti o motori ma sogni a occhi aperti. Se non fosse una storia vera sembrerebbe tutto inventato, perché la parabola di Goffredo Lombardo e della Titanus è un gran melodramma, come quelli che fecero ricco il geniale produttore, costellato di fallimenti e rinascite, di lutti improvvisi e crudeli, di nobili gesti destinati - caso unico in Italia - a salvare l’onore anziché il portafoglio.
Nelle mani di un altro maestro del mélo come Giuseppe Tornatore questo fiume di napoletanissima lava è diventato un film corale e trascinante come un feuilleton, L’ultimo Gattopardo, raccontato da una selva di personaggi che si danno la staffetta talvolta a metà frase, tanto è ostinata e condivisa la leggenda di Lombardo. Ma il bello è che pur parlando sempre e solo della Titanus il film finisce per rievocare mezzo secolo di storia italiana. Riflessa nella piccola grande epica del suo cinema.
«Goffredo faceva di tutto», ricorda Tornatore, «film popolari e sperimentali, melodrammi e musicarelli, esordi d’autore e film per bambini. Ma faceva tutto con la stessa convinzione. Un anno guadagnava su un fronte e perdeva su un altro, l’anno dopo il contrario. Era qui la sua forza». Ed è per questo che nel film si alternano Ermanno Olmi e Neri Parenti, Folco Quilici e Carlo Verdone, Mario Monicelli e Gianni Morandi, Nino D’Angelo, Alain Delon etc.
«Sapevo da prima che sarebbe stato un unico testo a più voci», racconta Tornatore. «Non immaginavo invece la ricchezza delle testimonianze. Nel film non c’è tutto, non poteva esserci. Ora spero di fare un libro con i testi integrali. Olmi, Monicelli, Delon, Gian Luigi Rondi, Dario Argento, Riccardo Tozzi, per fare solo qualche nome, hanno detto cose importanti». Ad esempio? «Monicelli si diffonde sulla genesi del Gattopardo», il film che con i suoi costi stratosferici sommati a quelli del Sodoma e Gomorra di Aldrich portò la Titanus sull’orlo della chiusura. «In lizza con Visconti c’era Ettore Giannini, grande regista teatrale autore di un unico film, Carosello napoletano, il primo ad aver l’idea di adattare il romanzo di Tomasi di Lampedusa. Lombardo lo adorava, ma scelse Visconti. Giannini non glielo perdonò mai e non tornò mai più sul set. Monicelli al riguardo racconta cose taglienti».
Nel film in compenso Lombardo pensa per primo a Burt Lancaster, vola negli Usa convincendolo che Visconti vuole solo lui per la parte, scopre che Lancaster ignora chi sia Visconti ma ha letto Il Gattopardo e ne ha varie copie sul tavolo da regalare agli amici. Quindi per convincere il divo gli mostra Rocco e i suoi fratelli, altro film Titanus, torna in Italia e dice a Visconti, indignato all’idea di prendere un “cowboy”, che Lancaster se ne muore per lavorare con lui, sperando che i due non scoprano mai l’inganno... Il resto è storia. Con un magnifico dietro le quinte: a riprese ultimate, consapevole delle spese immani cui ha costretto il produttore, Visconti gli propone di mettersi in moviola e scorciare Il Gattopardo per renderlo più vendibile. E lui, secco: «Lei non tocca un fotogramma del mio film»...
«Lombardo aveva il genio dei rapporti», racconta Tornatore. «Tornando a casa dal set, Scola riceveva ogni sera un telegramma di apprezzamenti e consigli, molto specifici e motivati, dal produttore che aveva visto il “girato”. Quando adottava un regista continuava a seguirlo anche se non era più lui il produttore. Successe pure a me. Dopo aver prodotto il mio esordio, Il camorrista, mi mise sotto contratto: cinque film in tre anni. Non se ne fece nemmeno uno. A metà anni 80 il cinema stava cambiando, non osava più, era dubbioso. Gli raccontai Nuovo Cinema Paradiso, alla fine aveva le lacrime agli occhi. Ma sulla porta mi fulminò: in questa storia c’è un padre di troppo. Aveva ragione, sul mélo aveva sempre una marcia in più. Nella prima stesura il piccolo Totò Cascio aveva il padre, e questo toglieva forza al padre vicario, il proiezionista. Corressi il copione. Non volle farlo lo stesso: era più bello a voce, mi disse dopo averlo letto. Ci separammo da buoni amici e Nuovo Cinema Paradiso lo feci con Cristaldi. Ma veniva sempre a vedere i miei film. Per La leggenda del pianista sull’oceano al Barberini non c’era più posto. Lo vide seduto sui gradini. Ma quando uscì Malena mi chiamò per dirmi che non gli era piaciuto granché, con molta franchezza, non alle spalle come usano molti».
L’ultimo Gattopardo si vedrà stasera all’Auditorium della Conciliazione in una serata di gala, poi farà il giro dei festival, partendo da Bari, per approdare all’home video sperando in una sporadica uscita in sala. Chi rimpiange i personaggi di una volta non se lo faccia sfuggire. Non sono molti i film in cui il protagonista fonda un impero, lo perde, paga tutti i suoi debiti. E quando un pescecane lo aggredisce al Circeo, torna subito in acqua per superare il trauma, quindi organizza una battuta di pesca, scova lo squalo e lo uccide. «Al Museo del Mare ci sono ancora le bombole con l’erogatore azzannato dal pescecane». Quale Museo? Non importa. Alle leggende si crede, e basta.