Fabio Corti, Libero 20/1/2011, 20 gennaio 2011
SE QUESTE SONO BAMBINE
C’è la femme fatale avvinghiata a una pelle di tigre con le fauci spalancate, tipo amazzone. Ti fissa dalla pagina patinata con due occhioni blu che eyeliner e mascara hanno trasformato in fanali, la testa inclinata in ammicammenti da consumata diva del fashion, unghie dipinte rosso fuoco e ginocchia piegate a sollevare un paio di vertiginosi tacchi leopardati all’insù, verso il soffitto. Non c’è niente di conturbante, quella lì in abito porpora è una bambina.
Sei anni. La silhouette oscenamente abbandonata agli sguardi più osceni nel paginone centrale d’un grande rotocalco di moda andràsìenoin prima elementare.
La rivista francese Vogue, Vangelo per chi sta al mondo in base ai dettami degli stilisti, ha fatto tremare i polsi a mezza Europa con l’ultimo servizio fotografico: bimbe agghindate come modelle, e mica solo per quanto riguarda il vestiario, schierate davanti al fotografo di grido. C’è tutta la morbosità che si richiede alle colleghe maggiorenni, forse di più. Due sorelline su un letto, coperte di gioielli e intente a divorar con gli occhi una bottigliona di profumo; altre due che s’abbracciano e una mano finisce proprio là, dove ancora non sono sbocciati seni ma qualcuno ha voluto imporre uno sfregio lesbo-chic; poi c’è la ninfetta sulle lenzuola di seta fasciata in un tubino dorato, allunga un paio di gambe lucenti verso l’obiettivo mentre accarezza due spauriti conigletti bianchi. Fotografie d’un magnetismo malvagio, che fanno gridare allo scandalo.
L’obiezione numero uno (sorvolando sull’opportunità di gettare nel tritacarne dello star system una manciata di bimbe) è sul rischio di strizzare anche involontariamente l’occhio alla pedofilia. E in effetti, gettando alle foto anche solo uno sguardo distratto, la percezione di sozzeria fa inclinare gli angoli della bocca. Meglio chiudere il giornale, non pensare a cosa potrebbe scattare in qualche testa bacata.
Nell’universo delle passerelle s’è aperto un altro buco nero: dopo anoressia e tossicodipendenza, sfilano le bimbe dei desideri. Quali? Quelli di centinaia di donne che non vogliono invecchiare, prima col botox e poi forzando la femminilità nella Polaroid di una fantolina travestita da Kate Moss, immortale manifesto di come vorrebbero essere, non saranno mai più e probabilmente non sono neppure mai state.
A Vogue è successo il putiferio, gli inserzionisti hanno telefonoato ai vertici del gruppo Condè Nast editore della testata minacciando di sfilare la pubblicità dai numeri successivi per dissociarsi dalla scelta editoriale delle baby-supertop. Per il momento hanno ottenuto la rimozione della direttrice, non è detto che basti per archiviare la faccenda.
Tom Ford, stilista di fama mondiale che ha prestato la sua opera per scattare le foto, è stato travolto da una valanga di critiche. Qualcuno ha liquidato la storia come un tentativo malriuscito di dare scandalo in cerca d’un eco mediatico, elementare trucchetto per piazzare qualche copia in più; altri ci vedono il riflesso di una società che ha invertito i poli.
Siamo il popolo del regresso anagrafico, del Bunga Bunga che catalizza attorno a tavole imbandite signori d’una certa età e aspiranti veline in cerca di gloria; che esibisce in vetrina sui mensili di gossip neonati vip venuti al mondo su commissione; delle mamme che infilano nei backstage figlie di cinque, sei anni per ritrovarsi con una pin-up in miniatura da schiaffare sul giornale e non sentirsi mica vecchie nel guardarla perché per forza è più giovane e bella: è solo una bambina. E fa niente se il prezzo da pagare è lasciarla in pasto a una selva di occhi depravati, per sempre prigioniera nelle caselle di posta elettronica di orchi che un tempo le foto delle ragazzine dovevano procurarsele di straforo, sfocate e impersonali, mica passavano a ritirarle in edicola, stampate in alta risoluzione, dopo aver bevuto un cafferino.