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 2011  gennaio 20 Giovedì calendario

PANINI BIO, OLIO E RETTE A SCUOLA LA VERA RIVOLTA È QUELLA PER LA MENSA

Galeotto fu il tortino e chi lo iscrisse nella mensa scolastica degli alunni di Padova. Perché è stato proprio un gateau di patate, non “consumato” dall’80 per cento degli scolari, a scatenare la rivolta dei genitori contro la decisione del comune padovano di introdurre il piatto unico. Ma il blitz di una mamma all’elementari Carraresi ha posto fine al “tortino della discordia”, ottenendo sia che venga depennato dal menù, sia che venga offerta ai bambini almeno l’alternativa della pasta in bianco.
CONTRO IL MONOPIATTO
«Il tortino in realtà e un pretesto», commenta Mariangela Menegon, vicepreside della scuola Petrarca. «Oltre al monopiatto, i genitori lamentano la riduzioni delle porzioni (60 grammi per la bistecca, 25 per il formaggio), la scomparsa di alimenti ritenuti troppo cari come la bresaola, i bastoncini di pesce e la frutta biologica, nonché il divieto di chiedere il bis. Inoltre il “monopiatto” è un terno al lotto: persino la pizza non incontra il favore di tutti i bimbi». Colpito dagli strali di genitori e insegnanti, l’assessore alle politiche scolastiche Claudio Piron si difende: «Il piatto unico è la risposta intelligente alle linee guida ministeriali che hanno dichiarato guerra aperta all’obesità infantile. Basti pensare che in Italia il 25 per cento dei bambini è obeso e il 30 per cento in forte sovrappeso. Il provvedimento, inoltre, obbedisce a una logica antisprechi: abbiamo fatto la conta degli avanzi alimentari finiti in spazzatura in dieci scuole. Risultato? Venticinquemila chili di “cibo per gatti” gettati nel bidone in anno».
SCARSI CONTROLLI
Ma la guerra delle mense non riguarda solo il piatto unico. Al Moige (Movimento Italiano Genitori) di Roma pervengono ogni giorno decine di lamentele di mamme e papà, che puntano l’indice sulla monotonia dei piatti serviti. Un’omologazione dei gusti che spingerebbero i bambini a svaligiare il frigo al rientro da scuola, alla ricerca di merendine, chipster e spezzafame di ogni tipo. «Prendiamo le verdure. Le mense le presentano sempre bollite, insipide e poco condite, senza un minimo di fantasia. Fatto che non aiuta certo a superare la proverbiale antipatia dei piccoli verso spinaci & Co», commenta Antonio Affinita, direttore del Moige. «Spesso, inoltre, le pietanze arrivano sui banchi fredde perché la maggior parte dei comuni italiani dà in appalto la ristorazione scolastica a delle società di servizi esterne, mentre le scuole dotate di una cucina propria sono pochissime». Certo, molto varia da comune a comune. Tant’è che la qualità delle pietanze è diventata una questione squisitamente politica. Come è successo a Castiglione Chiavarese (Genova), dove Rosella Batillana, consigliere comunale di opposizione, ha stilato un’interpellanza per chiedere al comune di rendere conto delle fatture di verdure e minestroni surgelati destinati alla mensa scolastica. Senza parlare dell’olio d’oliva, che non è extra vergine come dettano le guide ministeriali, e del mix di formaggi grattugiati serviti al posto del parmigiano. I toni della guerriglia, insomma, sono così aspri che in molte giunte la bontà della mensa è diventata baluardo cittadino. Dichiara
con malcelato orgoglio Gianluigi De Palo, neoassessore alla scuola e alla famiglia di Roma. «Solo l’8 per cento delle scuole capitoline consuma pasti preparati altrove, mentre sono ben 740 i complessi scolastici dotati di cucina interna. Inoltre, mentre molti comuni per far fronte alla crisi hanno tagliato sul biologico, il 70 per cento della frutta e della verdura servite nelle nostre mense proviene da aziende biologiche nazionali».
RINCARI SOTTO LA LENTE
Qualità dei menu a parte, nell’occhio del ciclone è finito anche il rincaro delle mense scolastiche registrato in molte città. Rincaro che, incidendo non poco sul bilancio familiare, ha portato alcune genitori a gesti estremi. Come il caso di Carmine Russo, il papà di Givoletto (piccolo comune alle porte di Torino), che il settembre scorso si è incatenato per cinque ore ai cancelli del municipio, dichiarandosi impossibilitato a pagare le rette scolastiche relative ai suoi tre figli. Meno inclini a gesti plateali, ieri a Lucca in una decina di scuole, i genitori hanno proclamato il “paninoday”per protestare contro le quote-mensa: tutti a scuola con un sandwich nello zainetto al fine di boicottare la refezione scolastica salita alle stelle. Ma la giunta comunale, indispettita dallo sciopero bianco del panino, ha ribadito che la mensa va pagata anche da chi non ne usufruisce. A patto di non presentare con largo anticipo un apposito modulo di esenzione compilato da mamma e papà.
Anche a Roma e a Bologna, dove la mensa per la scuola materna sfiora le 100 euro al mese, il malcontento delle famiglie sale. «A Roma, il costo della refezione previsto per le fasce più abbienti è raddoppiato di botto, passando da 41 a 80 euro al mese», commenta Domenico Buonocunto, socio fondatore del Moige. «È vero che la quota da pagare viene modulata in base all’ autocertificazione Isee, il “redditometro” che tiene anche conto di tante variabili oltre il reddito lordo, come il numero dei figli e la presenza di mutui in corso. Ma è altrettanto vero che compilare un modello Isee è un quiz degno di un commercialista. Così i genitori che non l’hanno presentato in tempo, entro il 31 ottobre scorso, sono stati automaticamente ascritti nella fascia redittuale più alta. Se non si riesce e rivedere le tariffe, che almeno si inserisca il sistema dei buoni-pasto, analogamente ai tickets offerti dalle aziende ai dipendenti. Così si paga in base alle frequenze, evitando di sborsare quattrini anche quando il bambino è ammalato o sta a casa per le feste comandate».
La mensa dalle mille pecche, insomma, sta coinvolgendo le famiglie italiane quanto il problema dei “tagli” e dei contenuti scolastici. Riuscirà il “fiero pasto” a catalizzare l’attenzione più della Divina Commedia?